La gigantografia è tratta da una foto di Lorenzo Cassarà scattata dalla vertigonosa stele della Madonnina. Una visuale inedita del forte San Salvatore e del “landmark mariano”, il principale riferimento spaziale ed estetico della città di Messina. Le questioni dell’identità sociale e culturale delle comunità sono al centro dei reportage di Cassarà, da anni attento osservatore e organizzatore di performance e istallazioni in cui l’occhio fotografico indaga i caratteri e le forme psicologiche degli abitanti di varie località siciliane. Il titolo “Cura ut Valeas” è una locuzione latina che significa “Fai in modo di star bene”, usata generalmente come formula di chiusura di una lettera, “Stammi bene”, un invito e un saluto per i viaggiatori del tram che restituisce la genuina tensione sociale dell’arte di Cassarà,
Spiaggia d’estate. Due giovani uomini su un’altalena, un gruppo di bagnanti si rilassa sulla spiaggia. Siamo al lido di Mortelle, sono i tardi anni ‘50. La città di Messina è all’apogeo della sua brevissima e dolorosissima storia novecentesca. Il lido è pieno di gente, ovunque. In piscina, sul ballatoio, tra le cabine, alle docce, uomini e donne in costume godono della brezza marina e dei confort offerti dalla nuovissima struttura balneare.
Un uomo e una donna in piedi, davanti al fondale, aspettano lo scatto del fotografo. Cogliamo solo le mani e il volto del loro copro, per il resto interamente coperto dagli abiti scuri. L’umo ha le labbra chiuse in una strana smorfia preoccupata, come quella di qualcuno che aspetta la puntura dell’ago medico. La donna ha un volto più disteso, quasi sereno. Non conosciamo l’identità della coppia, tuttavia, il ritratto restituisce non solo la realtà materiale di due abitanti di Tusa, ne propone pure le suggestioni psicologiche, le tensioni emotive.
Nella monografia dedicata al fotografo messinese Pippo La Cava, Geri Villaroel, curatore del volume, descrive così l’attitudine e il lavoro del fotoreporter: “La sua capacità di essere al posto giusto al momento giusto e di sapere conciliare il pezzo giornalistico con la puntualità dell’immagine, ebbe modo di esplicitarlo in parecchie occasioni assieme all’arte fotografica che dimostrò nell’arco della sua laboriosa attività”[1]. Villaroel, con il consueto stile ironico e graffiante, racconta tutta una serie d’importanti, o soltanto curiosi, avvenimenti immortalati da La Cava: le monete borboniche rinvenute a Maregrosso e poi vendute in nero a piazza Cairoli, l’uscita dal carcere del detenuto Spanò, detenuto, da innocente, per venticinque anni, i moti di Reggio, il terremoto di Gibellina etc.
[1] Il Vagabondo delle stelle. Cinquant’anni d’immagini di Pippo La Cava fotoreporter, a cura di Geri Villaroel, Grafo Ed., Messina, 2012, p. 13.
Filippo Cianciàfara Tasca di Cutò s’innamorò presto della fotografia. Il terremoto del 1908 uccise la sua famiglia ma lasciò integra la sua macchina fotografica. A diciassette anni scriveva al cugino Lucio Piccolo dei suoi progressi, incurante di tutto il resto. L’agiata condizione famigliare gli consentì di vivere questa passione senza risparmio di forze intellettuali e materiali. Di fatto, ottimi risultati ottenne in questo campo con svariati riconoscimenti di livello nazionale.
Paolo Galletta è un fotografo amante della musica, per diletto egli stesso suona la tromba, ma da molti anni segue spettacoli teatrali, film, e concerti, jazz in particolare. La sua galleria di personaggi di questo mondo colto e complesso è impressionante. Galletta ha immortalato alcuni mostri sacri del jazz contemporaneo: Wayne Shorter, Antonio Sànchez, Francesco Cafiso, Ravi Coltrane, Petra Magoni, Ferruccio Spinetti e molti altri. Tutti incontrati sul palco, o fuori da esso, durante manifestazioni tenutesi sul territorio siciliano o nazionale.
Lo Stretto di Messina, con i suoi colori e il suo paesaggio mozzafiato, è sempre stato al centro degli interessi di pittori e fotografi. Questi ultimi, in particolar modo, non possono non registrare, tentare di trascrivere sulla pellicola o sul supporto digitale, l’energia cromatica della sua luce, i fenomeni atmosferici del suo cielo. Come in questo scatto di Marco Crupi che documenta uno dei momenti più belli che possono viversi a queste latitudini: l’alba.
L’opera compare nella monografia “Ex Camera. Fotografie di Giulio Conti (1965 – 2005), prezioso contributo la cui pubblica presentazione venne incorniciata da una suggestiva mostra al Teatro Vittorio Emanuele II nel novembre del 2006. Fotomontaggio realizzato con la computer grafica, l’immagine è una prova preziosa della acutezza della visione concettuale ed estetica di Conti.