Dal 1933 al 1938 Daniele Schmiedt si dedica al tema del lavoro una ricca serie di opere. Nel dicembre dello stesso anno Sironi, Campigli, Carrà e Funi firmeranno il Manifesto della pittura murale sulle pagine de La Colonna, ratificando quello che, di fatto, le loro ricerche avevano già maturato. Ricerche possibili perché dovute al ritorno, fortemente voluto dal fascismo, di un’arte pubblica, propagandistica e celebrativa.
Dal 1933 al 1938 Daniele Schmiedt si dedica al tema del lavoro una ricca serie di opere. Nel dicembre dello stesso anno Sironi, Campigli, Carrà e Funi firmeranno il Manifesto della pittura murale sulle pagine de La Colonna, ratificando quello che, di fatto, le loro ricerche avevano già maturato. Ricerche possibili perché dovute al ritorno, fortemente voluto dal fascismo, di un’arte pubblica, propagandistica e celebrativa. L’imponente programma di lavori pubblici, particolarmente importante anche nella Messina ricostruita, vide molti artisti coinvolti nelle committenze statali, e tra questi anche il professor Schmiedt che tra il 1928 e il 1929 aveva lavorato alla decorazione di alcune sale del Palazzo di Giustizia. Cantieri, operai e impalcature costituivano lo scenario urbano quotidiano della città ricostruita, divenendo uno dei temi prediletti di Schmiedt. Tuttavia in queste opere che nascevano per un godimento principalmente privato, è difficile rintracciare l’enfasi del Manifesto. Gli operai di Schmiedt hanno corpi scultorei ma sono pressati dalla fatica e dal lavoro, la tensione metafisica e citazionista di Sironi è smussata da un’osservazione che non tradisce il vero. I suoi paesaggi urbani sono fedeli alle asimmetrie dei ponteggi, alle storture dei pali elettrici (Selciatori, 1934), elementi strutturali una regia compositiva che predilige tagli scorciati, quasi fotografici. Come in Operai che si lavano, dove la grande banchina del porto dialoga con la nave sbilenca e l’alto braccio della gru. Nell’opera prevalgono i toni bruni e grigi, mentre la nota blu del mare e la cima rossa della nave, smorzano quella tensione monocroma che aveva sperimentato nel lavoro con Piacentini, architetto del Tribunale. Nonostante la complessa struttura del disegno, Schmiedt non rinuncia a un altrettanto complessa costruzione cromatica, alla Cezanne, composta di tessere di colore che costruiscono l’immagine come in mosaico.
Dal 1933 al 1938 Daniele Schmiedt si dedica al tema del lavoro una ricca serie di opere. Nel dicembre dello stesso anno Sironi, Campigli, Carrà e Funi firmeranno il Manifesto della pittura murale sulle pagine de La Colonna, ratificando quello che, di fatto, le loro ricerche avevano già maturato. Ricerche possibili perché dovute al ritorno, fortemente voluto dal fascismo, di un’arte pubblica, propagandistica e celebrativa. L’imponente programma di lavori pubblici, particolarmente importante anche nella Messina ricostruita, vide molti artisti coinvolti nelle committenze statali, e tra questi anche il professor Schmiedt che tra il 1928 e il 1929 aveva lavorato alla decorazione di alcune sale del Palazzo di Giustizia. Cantieri, operai e impalcature costituivano lo scenario urbano quotidiano della città ricostruita, divenendo uno dei temi prediletti di Schmiedt. Tuttavia in queste opere che nascevano per un godimento principalmente privato, è difficile rintracciare l’enfasi del Manifesto. Gli operai di Schmiedt hanno corpi scultorei ma sono pressati dalla fatica e dal lavoro, la tensione metafisica e citazionista di Sironi è smussata da un’osservazione che non tradisce il vero. I suoi paesaggi urbani sono fedeli alle asimmetrie dei ponteggi, alle storture dei pali elettrici (Selciatori, 1934), elementi strutturali una regia compositiva che predilige tagli scorciati, quasi fotografici. Come in Operai che si lavano, dove la grande banchina del porto dialoga con la nave sbilenca e l’alto braccio della gru. Nell’opera prevalgono i toni bruni e grigi, mentre la nota blu del mare e la cima rossa della nave, smorzano quella tensione monocroma che aveva sperimentato nel lavoro con Piacentini, architetto del Tribunale. Nonostante la complessa struttura del disegno, Schmiedt non rinuncia a un altrettanto complessa costruzione cromatica, alla Cezanne, composta di tessere di colore che costruiscono l’immagine come in mosaico.Il lavoro, le condizioni di vita degli uomini del suo tempo, sono elementi cruciali nella poetica di Schmiedt, che fu sempre un antiretorico e narratore della condizione umana. Nonostante proclami di una roboante rivoluzione sociale e industriale, l’Italia fascista rimase, specialmente nel Mezzogiorno, un paese prevalentemente agricolo. Le condizioni d’arretratezza culturale ed economica interessavano principalmente la classe degli operai e dei contadini che videro immutata la loro miseria. Proprie queste condizioni, insieme all’opposizione verso un regime ottuso e crudele, furono l’oggetto dell’impegno che caratterizzò gli artisti italiani da Corrente (39) fino al dopo guerra. Gli artisti e gli intellettuali siciliani (Vittorini, Guttuso, Joppolo, Migneco etc.) furono tra i principali animatori di quella fase detta di “realismo sociale” che prima di essere una corrente era già il tema dominante degli artisti isolani più avanzati, come il giovane Guttuso e lo stesso Schmiedt. Tuttavia Schmiedt non aderì ai vari gruppi attivi del secondo dopoguerra, anche se anche non rimase indifferente a Picasso (Incartatrice di limoni, 1948). Bandiera pittorica e ideologica del Fronte nuovo delle arti. In maniera indipendente e autonoma, egli osserva e assorbe gli influssi dell’arte contemporanea coeva inserendoli all’interno della sua visione, che fu, in realtà, la visione di un maestro serio e sempre impegnato nell’elaborazione tecnica e formale della propria estetica. Che siano interni o paesaggi, pubbliche o destinate al suo diletto, le opere di Schmiedt si fondano su una costruzione dettagliata dell’immagine, sono espressione di un pensiero profondo che dopo aver attentamente osservato, ricostruisce la realtà in articolate composizioni geometriche e cromatiche di grande valore pittorico. Alla sua morte gli verranno dedicate diverse retrospettive, anche nella natia Palermo, tuttavia la sua carriera è stata oggetto di uno studio critico approfondito solo recentemente in occasione della mostra curata da Anna Maria Ruta alla Camera di Commercio di Messina nel 2012. L’evento ha avuto il grande merito di ricostruire la figura complessa di un maestro del Novecento siciliano che ancora oggi coinvolgere lo spettatore con la propria poesia e la propria visione dell’esistenza.