La tela appartiene al gruppo di opere della mostra Varchi, tenutasi nell’aprile del 2008 presso la galleria Fortuna arte. Soggetto dell’opera è la penisola di San Raineri, la lingua di terra che chiude il porto della città di Messina. I greci chiamarono la città Zankle, proprio per la peculiare forma di questa lingua di terra, simbolo geografico e urbano inconfondibile, ancora oggi al centro di dibattiti e di progetti di riqualificazione che stentano a decollare.
La tela appartiene al gruppo di opere della mostra Varchi, tenutasi nell’aprile del 2008 presso la galleria Fortuna arte. Soggetto dell’opera è la penisola di San Raineri, la lingua di terra che chiude il porto della città di Messina. I greci chiamarono la città Zankle, proprio per la peculiare forma di questa lingua di terra, simbolo geografico e urbano inconfondibile, ancora oggi al centro di dibattiti e di progetti di riqualificazione che stentano a decollare. Il mare è qui un fondo blu sgocciolante vicino alla pittura decadente e brutale di Francis Bacon, mentre la Falce si allunga come una creatura sofferente che guizza e si dibatte prima di esalare. Seguendo la generale intonazione della mostra, la pittura di Borgia vira verso un espressionismo che pur conservando i caratteri semplici del suo stile, ha il sapore di un urlo viscerale, di un dolore potente. “La Falce della Borgia è terra di approdo, come lo fu per i popoli del mare, e dopo secoli, per i coloni greci. Ricerca di un luogo da dove ricominciare; indagine sull’unica origine possibile. Ma quella speranza reca la lucidità di uno sguardo disperato”[1]. Così lo storico dell’architettura Nicola Aricò nel testo in catalogo, affronta con la consueta lucidità i temi sollevati con altrettanta chiarezza e veemente sentimento dall’artista stessa: “Questo è il MIO mare, ho gli occhi fissi alla sua stessa altezza, sono così dentro il suo ventre liquido da sentirne il respiro, i racconti, ed è per questo che ho sentito il bisogno di offrire alla mia gente lo spunto per una riflessione collettiva: chi siamo? Può esserci ancora una guida per noi naufraghi? Desideriamo un “custode” che ci conduca alla gestazione lenta ma inarrestabile di una nuova identità”. Il problema dell’identità continuerà a interessare l’artista che nel 2011 realizzerà con materiali di riciclo l’installazione Colpesce in occasione della performance collettiva Quasivive, organizzata nell’ex cantiere abbandonato dell’arena Sea Flight, a Capo Peloro.
[1] Francesca Borgia. Varchi, a cura di Nicola Aricò, catalogo della mostra alla galleria Fortunarte di Messina, Fortunarte, 2008, p. 3.
La tela appartiene al gruppo di opere della mostra Varchi, tenutasi nell’aprile del 2008 presso la galleria Fortuna arte. Soggetto dell’opera è la penisola di San Raineri, la lingua di terra che chiude il porto della città di Messina. I greci chiamarono la città Zankle, proprio per la peculiare forma di questa lingua di terra, simbolo geografico e urbano inconfondibile, ancora oggi al centro di dibattiti e di progetti di riqualificazione che stentano a decollare. Il mare è qui un fondo blu sgocciolante vicino alla pittura decadente e brutale di Francis Bacon, mentre la Falce si allunga come una creatura sofferente che guizza e si dibatte prima di esalare. Seguendo la generale intonazione della mostra, la pittura di Borgia vira verso un espressionismo che pur conservando i caratteri semplici del suo stile, ha il sapore di un urlo viscerale, di un dolore potente. “La Falce della Borgia è terra di approdo, come lo fu per i popoli del mare, e dopo secoli, per i coloni greci. Ricerca di un luogo da dove ricominciare; indagine sull’unica origine possibile. Ma quella speranza reca la lucidità di uno sguardo disperato”[1]. Così lo storico dell’architettura Nicola Aricò nel testo in catalogo, affronta con la consueta lucidità i temi sollevati con altrettanta chiarezza e veemente sentimento dall’artista stessa: “Questo è il MIO mare, ho gli occhi fissi alla sua stessa altezza, sono così dentro il suo ventre liquido da sentirne il respiro, i racconti, ed è per questo che ho sentito il bisogno di offrire alla mia gente lo spunto per una riflessione collettiva: chi siamo? Può esserci ancora una guida per noi naufraghi? Desideriamo un “custode” che ci conduca alla gestazione lenta ma inarrestabile di una nuova identità”. Il problema dell’identità continuerà a interessare l’artista che nel 2011 realizzerà con materiali di riciclo l’installazione Colpesce in occasione della performance collettiva Quasivive, organizzata nell’ex cantiere abbandonato dell’arena Sea Flight, a Capo Peloro.D’altra parte il rapporto con il mare rimarrà per tutto il Novecento e a seguire, il grande problema irrisolto della ricostruzione messinese post terremoto, un tema che diventerà centrale per riflessioni traversali a tutte le discipline e che avrà anche nello sguardo degli artisti non messinesi operanti in città una valenza, anche se con declinazioni diverse, assolutamente centrale: Renato Guttuso (1980) e Blu (2013). Nella psicologia junghiana la città e il mare sono termini equivalenti: “La città è simbolo materno, una donna che custodisce dentro di se gli abitanti come bambini. […]Il significato materno dell’acqua è una delle interpretazioni più sicure nel campo della mitologia, tanto che gli antichi dicevano: ἡ θάλασσα τῆς γενεσέως σύμβολον [il mare – simbolo della nascita]”[1]. Una doppia mancanza quindi investe la comunità messinese che ha perso i riferimenti della propria genitura storica, sepolta sotto il terremoto, e quelli presenti del suo scenario naturale sommerso dalla speculazione edilizia. Ed è la stessa Borgia a convalidare questa interpretazione: “La comprensione del blu con le sue sfumature, mi pervade e scava nell’interiorità, mentre la visione pittorica smembra, dissolve i contorni del mare facendo emergere il carattere di una comunità orfana, priva del caro ansimare delle cose”[2]. Al netto della sua arte, ingenua e drammatica insieme, Francesca Borgia dimostra di essere tra gli artisti più intellettualmente lucidi e attivi negli anni della grande crisi.
[1] C. G. Jung, La libido, simboli e trasformazioni, Newton e Compton ed., Roma 2003, p.198.
[2] Nota a margine dell’artista nel catalogo Varchi.