Nato Sciacca: Senza titolo, s.d.

Artista: 
Testo Ridotto: 

Difficile è la catalogazione del variegato ed eclettico corpus di opere di Nato Sciacca. Egli stesso, dal 1943, data del suo rientro in Sicilia, firma e data le sue opere molto raramente. Tuttavia, nonostante l’astinenza autoimposta dalle esposizioni e nonostante l’esilio quasi volontario di Patti, Sciacca nel 1950 s’inventa l’arte astroabissale che è insieme un anticipo dello spazialismo milanese (1954) e il risultato particolare di un percorso umano e artistico molto singolare.

Testo Medio: 

Difficile è la catalogazione del variegato ed eclettico corpus di opere di Nato Sciacca. Egli stesso, dal 1943, data del suo rientro in Sicilia, firma e data le sue opere molto raramente. Tuttavia, nonostante l’astinenza autoimposta dalle esposizioni e nonostante l’esilio quasi volontario di Patti, Sciacca nel 1950 s’inventa l’arte astroabissale che è insieme un anticipo dello spazialismo milanese (1954) e il risultato particolare di un percorso umano e artistico molto singolare.“Ora Nato Sciacca prosegue, sempre costante, nello sviluppo delle sue concezioni pittoriche dell’arte astro abissale che lo impegna in una ricerca metodica, in profondità, estraniandolo dalla nostra realtà quotidiana, dal momento che vive in una sfera surrealista da lui stesso creata e dove forse solo lui sa operare”[1]. Così D’Andria commentava l’arte di Sciacca allo scoccare del 1960. Una definizione aperta quanto enigmatica e che ben corrisponde all’arte stessa di Nato Sciacca. Nel suo astrattismo confluisce l’esperienza acquisita da scultore a contatto con Arturo Martini, un’esperienza che vuol dire principalmente plasticismo, capacità di immaginare e mostrare le forme all’interno di uno spazio sempre tridimensionale, anche quando la terza dimensione non c’è e il supporto è un rettangolo di carta sbrindellata. Che questa capacità sia in lui ben presente è evidente in quest’opera senza titolo, dove la forma rossa al centro sembra esplorare lo spazio come una sorta di braccio in avanti, mentre le lumeggiature sulla “macchia” blu creano una straordinaria plasticità dagli accenti materici.

 


[1] Ennio Salvo D’Andria, Pandemonio, 1960,  in Nato Sciacca e l’arte astroabissale, Pungitopo, Patti, 2010,p. 16. 

 

Testo Esteso: 

Difficile è la catalogazione del variegato ed eclettico corpus di opere di Nato Sciacca. Egli stesso, dal 1943, data del suo rientro in Sicilia, firma e data le sue opere molto raramente. Tuttavia, nonostante l’astinenza autoimposta dalle esposizioni e nonostante l’esilio quasi volontario di Patti, Sciacca nel 1950 s’inventa l’arte astroabissale che è insieme un anticipo dello spazialismo milanese (1954) e il risultato particolare di un percorso umano e artistico molto singolare.“Ora Nato Sciacca prosegue, sempre costante, nello sviluppo delle sue concezioni pittoriche dell’arte astro abissale che lo impegna in una ricerca metodica, in profondità, estraniandolo dalla nostra realtà quotidiana, dal momento che vive in una sfera surrealista da lui stesso creata e dove forse solo lui sa operare”[1]. Così D’Andria commentava l’arte di Sciacca allo scoccare del 1960. Una definizione aperta quanto enigmatica e che ben corrisponde all’arte stessa di Nato Sciacca. Nel suo astrattismo confluisce l’esperienza acquisita da scultore a contatto con Arturo Martini, un’esperienza che vuol dire principalmente plasticismo, capacità di immaginare e mostrare le forme all’interno di uno spazio sempre tridimensionale, anche quando la terza dimensione non c’è e il supporto è un rettangolo di carta sbrindellata. Che questa capacità sia in lui ben presente è evidente in quest’opera senza titolo, dove la forma rossa al centro sembra esplorare lo spazio come una sorta di braccio in avanti, mentre le lumeggiature sulla “macchia” blu creano una straordinaria plasticità dagli accenti materici. Si tratta di un’opera dal linguaggio chiuso, vitale quanto insondabile, misteriosa. Non sappiamo come Sciacca lavorasse, quali fossero i suoi modelli per l’astrazione surreale che l’artista praticava.  C’è qualcosa di molto strutturato nella linea spessa di questa tempera, e insieme, qualcosa di profondamente libero improvvisato, completamente emotivo. Si tratta di un’emotività che in altre opere ha pure il segno vibrante di pennellate furiose, ma che, in realtà, pare esprimere più una sperimentazione di concetti, un’elaborazione di linguaggio, che un dramma umano. La natura singolare di Sciacca, la volontaria condizione di outsider che egli praticava già da artista a Milano, e ancor di più nella lontanissima Patti, forse possono distrarre. Sciacca è stato un solido sperimentatore, un inventore tout court, innamorato delle sue idee, sempre nuove, sempre cangianti come le sue opere. Il suo stesso tratto rapido delle opere astroabissali, come nelle chine degli Appesi, suggerisce quest’ansia intellettuale di variare, di specificare, di declinare le possibilità del suo linguaggio in forme inaspettate, esplosioni di traiettorie cromatiche che sembrano le metafore pittoriche dei suoi utopistici progetti architettonici e dell’entusiasmo con cui cercava di proporli e farli conoscere alla comunità di siciliani cui si sentì sempre legato, nonostante l’evidenza del suo isolamento intellettuale. Nonostante le insistenze dei figli Enzo e Giovanni[2], Sciacca evitò accuratamente di mostrare al pubblico questi suoi lavori. Probabilmente il ritorno in Sicilia significò per lui la definitiva normalizzazione, il ritorno a una concretezza che in realtà affrontò sempre con estro indipendente, lavorando e spendendo per i brevetti delle sue invenzioni. Nel 1950 immagina un catalogo della sua opera dividendo la sua attività in due periodi. Il primo, della formazione, che dal 1935 a 1945, e un secondo, dal 1945 che corrisponde all’invenzione dell’astroabissale e, in definitiva, alla personalissima anticipazione di quell’astrattismo derivato dalla natura che solo alla metà degli anni ’50 diventerà la koinè degli artisti siciliani desiderosi di entrare nel grande corso dell’arte contemporanea europea.

 


[1] Ennio Salvo D’Andria, Pandemonio, 1960,  in Nato Sciacca e l’arte astroabissale, Pungitopo, Patti, 2010,p. 16.

[2] Ibidem, p. 7.

 

Galleria Immagini: 

Galleria Opere Nato Sciacca

  • Nato Sciacca: senza titolo, s.d., tempera, 34 x 39 cm.
  • Nato Sciacca: senza titolo, s.d., tempera, 33 x 23,5 cm.
  • Nato Sciacca: senza titolo, s.d., scultura in terracotta, 24 h cm.
  • Nato Sciacca: Gli appesi, 1942, china, 32 x 21 cm.
  • Nato Sciacca: Gli appesi, 1942, china, 31 x 13 cm.
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Da: Nato Sciacca e l'arte astroabisasle
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