Giulio Aristide Sartorio
Nato a Roma da una famiglia di artisti studia da autodidatta e all’accademia di San Luca. A diciannove anni possiede già uno studio, la sua produzione commerciale di quadretti con vedute e monumenti gli consente un’indipendenza economica che sarà anche la strada per importanti amicizie nell’ambiente: una su tutte D’Annunzio, per il quale illustrerà Isotta Guttadauro nel 1886. Nel 1889 il suo dipinto I figli di Caino ottiene la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi. Si avvicina al gruppo dei preraffaelliti: Hunt, Millais, Ford Madox Brown e nel 1890 aderisce all’associazione In Arte Libertas Dopo un viaggio di aggiornamento in Inghilterra, dove conosce direttamente i maestri inglesi, si trasferisce a Weimar, dove sarà professore d’Accademia. Sono gli anni di Diana di Efeso e gli schiavi e del simbolismo de La Gorgone e gli eroi (1897) e Diana e gli schiavi di Efeso (1899), che fu, tra l’altro, uno dei primi acquisti della Galleria d’Arte Moderna di Roma alla III biennale di Venezia. Nel 1904 aderisce al gruppo dei XXV della Campagna Romana. Tra il 1905 e il 1907 lavora a un ciclo di fregi per la biennale di Venezia, mentre tra il 1908 e il 1812 è all’opera Montecitorio dove realizzerà il fregio per la Camera dei Deputati. La grande opera, composta da 50 tele, vedrà Sartorio rinnovare il legame con le tecniche del passato grazie all’uso dell’encausto. Nel 1915 parte volontario per la prima guerra mondiale, dove è fatto prigioniero. Liberato torno al fronte per documentare la guerra. Al termine del conflitto Sartorio, ormai artista ufficiale della Belle Époque italiana, viaggia per il mondo: Egitto, Siria, Argentina, Giappone. Si interessa al cinema e tra il 1918 e il 1923 lavora a tre film: Il mistero di Galatea (1918), San Giorgio (1921) e il Sacco di Roma (1923). Nel 1925 sottoscrive il Manifesto degli Intellettuali del Fascismo. Nel 1929 viene nominato accademico d’Italia, mentre nel 1930 gli viene affidata la decorazione musiva della ricostruita cattedrale di Messina. Al progetto lavorerà alacremente e in perfetta solitudine fino alla morte, causata dal cancro nel 1932. Dell’incredibile produzione per Messina rimangono oggi i magnifici cartoni custoditi nei locali del Seminario Arcivescovile della città peloritana.