Romanzo d’esordio dello scrittore e sceneggiatore Mario Falcone, L’alba nera evoca la violentissima scossa di terremoto che, all’alba del 28 dicembre 1908, rade al suolo la città di Messina, cancellando dalle carte geografiche una delle più belle e prospere città del Regno d’Italia. Tra misteri e tradimenti, omertà e “poteri forti” che ostacolano la giustizia, a emergere come vera protagonista del romanzo è Messina stessa, raccontata nei mesi precedenti alla catastrofe. La narrazione parte dal giorno di Ferragosto, quando l’intera città si ferma per la festa della Vara. Mentre migliaia di messinesi trascinano per le strade la statua dell’Assunta, l’omicidio di una giovane cameriera macchia la sacralità della giornata festiva. Incaricato delle indagini è il tenente dei carabinieri Marco Valerio Sestili, la cui ricerca della verità s’intreccia alle vicende di numerosi personaggi, legati l’uno all’altro come in un frenetico carosello: il giovane fornaio Rosario, l’enigmatico Ignazio Currò – tornato a Messina dopo diciassette anni trascorsi in America – e il barone Orfeo Torielli, simbolo di una nobiltà boccaccesca e sanguigna ormai in declino. Con una scrittura densa e avvincente, Mario Falcone dipinge l’affresco di un mondo che ci sembra oggi vicinissimo, coi suoi scandali e la sua corruzione, i suoi intrighi e i suoi vani affanni, e le mille storie personali destinate a essere inghiottite da un’apocalisse che, sola, rappresenterà una catartica occasione di rinascita e riscatto morale per i pochi sopravvissuti. La cronaca e il taglio documentaristico intrecciano il piano della realtà a quello della finzione romanzesca, sostenuta dai ritmi propri del genere poliziesco, che l’autore recupera anche nel secondo romanzo, Un’amara verità (2013), anch’esso ambientato a Messina.
Un percorso narrativo di già compiuta cifra stilistica, di certo ispirata alla dovizia di particolari e all’articolazione d’insistita complessità della trama, tipica della trasposizione filmica degli eventi e delle storie, che nascono così parallele, e infine s’intersecano, in un gioco di rimandi che cattura l’interesse e indentifica in più d’un personaggio i caratteri della “vecchia” città, tanto diversa e tanto uguale, rispetto a quella di oggi. […] storie di vita di una comunità alle prese con le sue ansie e i suoi disagi, ma anche con le piccole gioie d’ogni vita vissuta. Raccontate da Falcone con occhio sempre attento e sensibile alla sua terra, al suo sito, ai suoi luoghi, alle strade, alle piazze, alle vie dove s’agitavano i tanti protagonisti di quella che era una fiorente realtà del Regno, un avamposto del commercio marittimo, un museo all’aperto delle umane vestigia simbolo d’arte e di gusto per il bello, accanto alle brutture d’improvvise periferie abbandonate a se stesse. (Francesco Bonardelli, Quell'alba nera che avvolse la bella Messina un secolo fa, Gazzetta del Sud, 05/11/2008)