Il palazzo della Provincia fu progettato dall’ingegnere Alessandro Giunta, che si trovava in città nella sua veste di vice ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia e pertanto impegnato a sviluppare diversi progetti di importanti edifici pubblici. In questo caso si tratta di uno dei quattro edifici che configurano una delle piazze circolari presenti a Messina ed in particolare la piazza Antonello, che configura il centro direzionale della città essendovi previsti gli edifici destinati ad accogliere altre istituzioni cittadine. La struttura utilizzata dall’ingegnere Giunta per la sede della Provincia fa uso di muratura confinata con il cemento armato per assicurare la sicurezza statica dell’edificio che, conformemente all’architettura del periodo, viene “vestita” con un intonaco realizzato ad imitazione della Pietra e decorata con stucchi cementizi che la integrano con l’architettura limitrofa. La lavorazione superficiale degli intonaci così ottenuti veniva realizzata con attrezzi opportuni che ne definissero le texture volute, così da simulare l’impiego della pietra. Gli elementi decorativi venivano anch’essi realizzati con la tecnica dello stampo di gesso che permetteva di economizzare sui materiali e di velocizzare l’andamento dei lavori ottenendo risultati di grande valenza formale, come è possibile riscontare negli edifici che non sono mai stati restaurati (o nei pochissimi edifici in cui i lavori sono stati diretti secondo un’ottica filologicamente corretta).
Il linguaggio utilizzato nel Palazzo della Provincia, come in gran parte degli edifici pubblici della prima ricostruzione, è informato ad un eclettismo di sapore umbertino piuttosto che al Liberty che si andava diffondendo nel periodo. La tendenza a riecheggiare forme rinascimentali dando luogo a quel periodo storico da più parti definito come eclettismo, può essere riscontrato in tutta Europa, ma le particolari condizioni di una città che doveva essere quasi totalmente ricostruita ne facevano un campo di sperimentazione privilegiato che dava contezza della tradizione architettonica del periodo umbertino che veniva insegnata in ambito accademico. Peraltro la compagine sociale del periodo, composta da una borghesia a volte di discendenza nobiliare, veniva molto più facilmente rappresentata dalle forme di un’architettura composta da elementi presi a prestito dalla tradizione ed assemblati insieme in modo conveniente entro cui amalgamare i propri simboli. È questo il caso di diverse ville residenziali edificate nel periodo ma anche dell’architettura pubblica nella quale sono presenti stilemi che la collocano tra gli edifici di rappresentanza della città nascente. Il palazzo della Provincia fu progettato dall’ingegnere Alessandro Giunta, che si trovava in città nella sua veste di vice ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia e pertanto impegnato a sviluppare diversi progetti di importanti edifici pubblici. L’edificio fu completato nel 1918 anche se la definitiva conclusione dei lavori fu protratta fino al 1924. L’impresa che appaltò i lavori di costruzione dell’edificio fu la Ditta Setti e Basile, che realizzarono un edificio alto 14 ml (16 ml nella parte centrale del prospetto) che occupa una superficie di circa 3500 mq. La sala consiliare, illuminata dall’alto da cassettoni con velari ornamentali di vetri colorati, misura 220 mq ed è alta 10 ml. Il pavimento è in marmo mentre le pareti sono decorate dal D’Arrigo e dal Lovetti con stucchi lucidi ad imitazione del marmo. Subito sotto il soffitto sono presenti delle cariatidi modellati dallo scultore Scarfì mentre sopra le grandi vetrate insistono pannelli decorati dal pittore Corsini e dai decoratori Di Stefano e Bonsignore. Tutti questi elementi della sala consiliare furono cancellati da un progetto di Napoleone Cutrufelli che trasformò l’ambiente negli anni ’60 alterandone profondamente l’immagine originaria.
Il Palazzo della Provincia insisteva, prima del disastroso terremoto del 1908, pressappoco nella stessa area che gli fu riservata nel Piano Regolatore della città dall’ing. Borzì. L’area di sedime assegnata per l’edificazione fu di 7514 mq, raddoppiando quella occupata dal precedente edificio alto quattro piani, in modo che la maggiore estensione compensasse la minore altezza del fabbricato che, per effetto della normativa antisismica del 1909, non poteva superare i due livelli fuori terra. Il linguaggio utilizzato, come in gran parte degli edifici pubblici della prima ricostruzione, è informato a un eclettismo di sapore umbertino piuttosto che al Liberty che si andava diffondendo nel periodo. La tendenza a riecheggiare forme rinascimentali dando luogo a quel periodo storico da più parti definito come eclettismo, può essere riscontrato in tutta Europa, ma le particolari condizioni di una città che doveva essere quasi totalmente ricostruita ne facevano un campo di sperimentazione privilegiato che dava contezza della tradizione architettonica del periodo umbertino che era insegnata in ambito accademico. Peraltro la compagine sociale del periodo, composta da una borghesia a volte di discendenza nobiliare, veniva molto più facilmente rappresentata dalle forme di un’architettura -composta da elementi presi a prestito dalla tradizione ed assemblati insieme in modo conveniente- entro cui amalgamare i propri simboli. È questo il caso di diverse ville residenziali edificate nel periodo ma anche dell’architettura pubblica nella quale sono presenti stilemi che la collocano tra gli edifici di rappresentanza della città nascente. Il Palazzo della Provincia - uno dei quattro edifici pubblici di Piazza Antonello -fu progettato dall’ingegner Alessandro Giunta, che si trovava in città nella sua veste di vice ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia e pertanto impegnato a sviluppare diversi progetti di importanti edifici pubblici. La Piazza, che doveva costituire idealmente il centro direzionale della città, è attraversata dal Corso Cavour (e dalla via S. Agostino) una delle direttrici che quadripartivano la città fin dal 1835. La struttura utilizzata da Giunta per la sede della Provincia fa uso di muratura confinata con il cemento armato per assicurare la sicurezza statica dell’edificio che, conformemente all’architettura del periodo, viene “vestita” con un intonaco realizzato a imitazione della pietra e decorata con stucchi cementizi che la integrano con l’architettura limitrofa. In particolare il loggiato di gusto neorinascimentale, elemento unificatore della piazza, pur declinato in quattro differenti architetture, costituisce una sorta passeggiata all’aperto in grado di consentire la visione simultanea degli altri tre edifici. L’edificio si organizza intorno a tre chiostri serviti da corridoi che danno accesso alle stanze del complesso architettonico; all’estremità nord dell’edificio è posta la sala del Consiglio mentre tra i due chiostri di maggiore estensione, è posto il grande scalone in marmo che sembra riecheggiare la scalinata del precedente edificio provinciale, anch’esso progettato dall’arch. Giunta nel 1901 e distrutto dal terremoto del 1908. Lo schema riflette una prassi in uso negli edifici pubblici che vede una prima rampa centrale e due rampe speculari lungo i due lati, così come avviene anche nel Palazzo Municipale. Il primo progetto del nuovo Palazzo della Provincia fu pubblicato nel 1912, anche se i lavori iniziarono nel 1914 e furono eseguiti tra difficoltà inaudite durante il periodo della guerra. Dalla data che si legge sul frontone si evince che l’edificio fu completato nel 1918 anche se la definitiva conclusione dei lavori fu protratta fino al 1924. L’impresa che appaltò i lavori di costruzione dell’edificio fu la Ditta Setti e Basile, che realizzarono un edificio alto 14 ml (16 ml nella parte centrale del prospetto) che occupa una superficie di circa 3500 mq. La sala consiliare, illuminata dall’alto da cassettoni con velari ornamentali di vetri colorati, misura 220 mq ed è alta 10 ml. Il pavimento è in marmo mentre le pareti sono decorate dal D’Arrigo e dal Lovetti con stucchi lucidi ad imitazione del marmo. Subito sotto il soffitto sono presenti delle cariatidi modellate dallo scultore Scarfì mentre sopra le grandi vetrate insistono pannelli decorati dal pittore Corsini e dai decoratori Di Stefano e Bonsignore. Tutti questi elementi della sala consiliare furono cancellati da un progetto di Napoleone Cutrufelli che trasformò l’ambiente negli anni ’60 alterandone profondamente l’immagine originaria. L’elemento qualificante, stante la struttura in muratura confinata in cemento armato è costituita dagli elementi decorativi utilizzati nelle facciate in pietra artificiale che purtroppo risultano oggi occultate da un pessimo intervento di restauro che ha previsto l’impiego di materiali industriali poco compatibili con il supporto. La pietra artificiale utilizzata nel periodo della ricostruzione di Messina era realizzata con impasti cementizi ai quali erano mescolate polveri e graniglie in proporzioni variabili, tali da riuscire a imitare alla perfezione le principali pietre da costruzione utilizzate in edilizia. La lavorazione superficiale degli intonaci così ottenuti veniva realizzata con attrezzi opportuni che ne definissero le texture volute, così da simulare l’impiego della pietra. Gli elementi decorativi erano anch’essi realizzati con la tecnica dello stampo di gesso che permetteva di economizzare sui materiali e di velocizzare l’andamento dei lavori ottenendo risultati di grande valenza formale, com’è possibile riscontrare negli edifici che non sono mai stati restaurati o nei pochissimi edifici in cui i lavori sono stati diretti secondo un’ottica filologicamente corretta.