Nel IV comparto dell'isolato 319 è localizzata la cosiddetta Casa Cerruti, dal nome della famiglia committente. L'edificio venne costruito tra il 1920 ed il 1922 dalla Società Imprese Edilizie Meridionali, aveva un'altezza di poco più di dieci metri e constava del piano botteghe adibito a commerciale e del piano nobile destinato alla residenza, oltre al locale cantinato di servizio. La struttura dell’edificio è in cemento armato con travi e pilastri ed impiega il sistema brevettato da Monier e ceduto alla ditta tedesca Wayss e Freytag.
Nel IV comparto dell'isolato 319 è localizzata la cosiddetta Casa Cerruti, dal nome della famiglia committente. L'edificio venne costruito tra il 1920 ed il 1922 dalla Società Imprese Edilizie Meridionali, aveva un'altezza di poco più di dieci metri e constava del piano botteghe adibito a commerciale e del piano nobile destinato alla residenza, oltre al locale cantinato di servizio. La struttura dell’edificio è in cemento armato con travi e pilastri ed impiega il sistema brevettato da Monier e ceduto alla ditta tedesca Wayss e Freytag. Erano anni nei quali si sperimentava l’impiego del calcestruzzo armato ed ancora la tecnica non era consapevole delle potenzialità del nuovo materiale. Infatti, come avvenne in tutti gli edifici della ricostruzione, sembra che il nuovo materiale da costruzione fosse timidamente impiegato, evitando di realizzare vani finestra esageratamente ampi come invece avveniva nelle architetture d’oltralpe. La scarsa sperimentazione ha dato luogo ad un’architettura molto simile da un punto di vista strutturale la cui differenziazione veniva affidata alle decorazioni che ne caratterizzavano le superfici trattate con intonaci a stucco decorativo realizzato con impasti cementizi in modo che questi somigliassero a rivestimenti in pietra lavorata. La pianta dell’edificio si sviluppa secondo un andamento trapezoidale occupando tutto il IV comparto dell’isolato 319 del PR di Messina.
Nel IV comparto dell'isolato 319 è localizzata la cosiddetta Casa Cerruti, dal nome della famiglia committente. L'edificio costruito tra il 1920 ed il 1922 dalla Società Imprese Edilizie Meridionali aveva un'altezza di poco più di dieci metri e constava del piano botteghe adibito a commerciale e del piano nobile destinato alla residenza, oltre al locale cantinato di servizio. La struttura dell’edificio è in cemento armato con travi e pilastri ed impiega il sistema brevettato da Monier e ceduto alla ditta tedesca Wayss e Freytag. Poiché erano i primi anni in cui questo materiale era impiegato, vi era grande cautela nell’utilizzo. Infatti, come avvenne in tutti gli edifici della ricostruzione, il nuovo materiale da costruzione fu timidamente impiegato, evitando di realizzare vani finestra esageratamente ampi come invece avveniva nelle architetture d’oltralpe. La scarsa sperimentazione ha dato luogo ad un’architettura molto simile da un punto di vista strutturale la cui differenziazione veniva affidata alle decorazioni che ne caratterizzavano le superfici trattate con intonaci a stucco decorativo realizzato con impasti cementizi in modo che questi somigliassero a rivestimenti in pietra lavorata. La pianta dell’edificio si sviluppa secondo un andamento trapezoidale occupando tutto il IV comparto dell’isolato 319 del PR di Messina. Anche in questo caso le facciate sono realizzate con intonaci a stucco che imitano l’impiego della pietra, tuttavia il linguaggio utilizzato, differentemente dagli altri edifici attribuiti a Gino Coppedè, è neomanierista. In esso troviamo impiegati stilemi, quale il frontone spezzato che sovrasta le aperture del prospetto, al limite con il neobarocco che mostra un eclettismo ridondante, un po’ diverso da quello che siamo abituati a attribuire a Gino Coppedè. Tuttavia, la particolarità dell’architettura potrebbe essere stata stemperata sia dalla collaborazione di Coppedè con lo studio dell’ingegner Rapisardi, suo genero e collega in diversi progetti, sia dalle prescrizioni del Genio Civile che in molti casi avocava a sé l’esecuzione dell’opera e richiedeva al progettista di presentare gli elaborati in modo che la realizzazione dell’opera fosse possibile con i tecnici dell’Ufficio, lasciando infine che questi ne curasse la finitura rendendola compatibile con l’architettura che costituiva l’intorno dell’edificio. Il linguaggio utilizzato è simile a quello impiegato nel comparto adiacente nel quale insiste il “caseggiato Cerruti” che era stato realizzato qualche anno prima. Purtroppo, anche in questo caso gli interventi di manutenzione svolti nel corso degli anni non hanno tenuto conto della peculiarità dell’edificio costituita dalle texture delle superfici realizzate a imitazione della pietra, impiegando così intonaci premiscelati e pitture che hanno snaturato l’idea originaria del progettista.