Inaugurato nel dicembre del 2000, il monumento è stato realizzato da Francesco Cancelliere, mecenate e gallerista che, sotto lo pseudonimo di Cafra, vanta anche una carriera di pittore e scultore. Il grande tondo in bronzo è un’allegoria del lavoro, nello stile sintetico e arcaico caro a molta arte pubblica praticata, non solo in Italia, nei primi trent’anni del Novecento.
Inaugurato nel dicembre del 2000, il monumento è stato realizzato da Francesco Cancelliere, mecenate e gallerista che, sotto lo pseudonimo di Cafra, vanta anche una carriera di pittore e scultore. Il grande tondo in bronzo è un’allegoria del lavoro, nello stile sintetico e arcaico caro a molta arte pubblica praticata, non solo in Italia, nei primi trent’anni del Novecento. Un operaio, a torso nudo e di profilo, regge quella che sembrerebbe una falce, mentre davanti a lui, in un’organizzazione spaziale semplice quanto simbolica, vengono presentati gli strumenti principe del lavoro novecentesco: la spiga, la tenaglia e la chiave inglese, la ruota dentata, e soprattutto la fabbrica con il suo mefitico sbuffo inquinante. C’è pure l’atomo, che rimanda inevitabilmente al murales realizzato da Diego Rivera (Guanajuato, 1886 – Città del Messico, 1957) per il Palazzo delle Belle Arti della capitale messicana nel 1934. Come la pittura pubblica e popolare di Rivera, anche Il bassorilievo di Piazza Duomo è stato realizzato da Cancellieri per il sindacato UIL di Messina, e, di fatto, è la summa di un’estetica e di un’etica che oggi sembra sempre più lontana dalla realtà. Al centro della composizione, la fisicità virile e asciutta del lavoratore rimanda ai possenti operai realizzati da Bonfiglio per la sua Allegoria del Lavoro (1940) della Casa del Fascio, oggi Inail, sulla cortina del porto. Oggi, quest’operaio dallo sguardo scolpito e dalla fisicità combattiva sembra una reliquia di un mondo ormai scomparso. La sua possente fisicità allude alla strenua resistenza nella conferma dei diritti faticosamente conquistati, oltre ad essere il principale strumento del suo lavoro. Il progresso dell’industria è davanti a lui, ma lo sbuffo e le forme smorte dei suoi tetti non possono non richiamare alla mente le terribili canne fumarie dei campi di concentramento, così come la ruota dentata sembra più propensa a farlo a pezzi che ad aiutarlo nel romantico gesto della mietitura.
Inaugurato nel dicembre del 2000, il monumento è stato realizzato da Francesco Cancelliere, mecenate e gallerista che, sotto lo pseudonimo di Cafra, vanta anche una carriera di pittore e scultore. Il grande tondo in bronzo è un’allegoria del lavoro, nello stile sintetico e arcaico caro a molta arte pubblica praticata, non solo in Italia, nei primi trent’anni del Novecento. Un operaio, a torso nudo e di profilo, regge quella che sembrerebbe una falce, mentre davanti a lui, in un’organizzazione spaziale semplice quanto simbolica, vengono presentati gli strumenti principe del lavoro novecentesco: la spiga, la tenaglia e la chiave inglese, la ruota dentata, e soprattutto la fabbrica con il suo mefitico sbuffo inquinante. C’è pure l’atomo, che rimanda inevitabilmente al murales realizzato da Diego Rivera (Guanajuato, 1886 – Città del Messico, 1957) per il Palazzo delle Belle Arti della capitale messicana nel 1934. Come la pittura pubblica e popolare di Rivera, anche Il bassorilievo di Piazza Duomo è stato realizzato da Cancellieri per il sindacato UIL di Messina, e, di fatto, è la summa di un’estetica e di un’etica che oggi sembra sempre più lontana dalla realtà. Al centro della composizione, la fisicità virile e asciutta del lavoratore rimanda ai possenti operai realizzati da Bonfiglio per la sua Allegoria del Lavoro (1940) della Casa del Fascio, oggi Inail, sulla cortina del porto. Oggi, quest’operaio dallo sguardo scolpito e dalla fisicità combattiva sembra una reliquia di un mondo ormai scomparso. La sua possente fisicità allude alla strenua resistenza nella conferma dei diritti faticosamente conquistati, oltre ad essere il principale strumento del suo lavoro. Il progresso dell’industria è davanti a lui, ma lo sbuffo e le forme smorte dei suoi tetti non possono non richiamare alla mente le terribili canne fumarie dei campi di concentramento, così come la ruota dentata sembra più propensa a farlo a pezzi che ad aiutarlo nel romantico gesto della mietitura. Opera celebrativa e retorica, il monumento è per tema, stile e iconografia, una vera e propria reliquia del secolo trascorso. La fine del lavoro manuale, l’automazione dei processi produttivi, e l’accentramento del potere politico presso strutture tecnocratiche e finanziarie extranazionali ha estromesso dal dibattito culturale e dall’immaginario collettivo la figura del lavoratore. Da ingranaggio dell’industria e massa propulsiva, il lavoratore è diventato un problema della società più che una risorsa. Le sue spalle possenti oggi sono buone per promuovere lo stereotipo del maschio alpha, per il resto, la manualità di miliardi di persone è stata ridotta alla digitazione. Un motto in latino è inciso a destra sotto un fiero bullone. E’ un brano tratto dalle Georgiche di Virgilio (I, 145 – 146) Labor omnia vicit improbus, et duris urgens in rebus egestas: Ogni difficoltà è vinta dal duro lavoro, e dal bisogno che preme sulle dure vicende. Un motto che suona come terribilmente inadeguato oggi. Non solo il lavoro non consente più al lavoratore di superare le difficoltà del quotidiano ma il lavoro stesso è divenuto merce rara, per milioni di giovani può essere solo una forma d’impiego volontaristico, non remunerato e senza prospettive che sempre più trasforma il lavoratore in uno schiavo. Quest’opera di Cancelliere chiude, come un sepolcro funebre, il racconto della civiltà del lavoro inaugurato da Bonfiglio, che celebrava una città rinata grazie alle mani degli operai, e annuncia l’inizio di una era nuova incerta e pericolosa su cui aleggiano i fantasmi e i fasti del secolo breve.