L’opera è stata acquisita dalla Galleria Provinciale d’arte moderna e contemporanea della Provincia di Messina nel 1989. Appartiene a una tappa importante del percorso artistico di Anastasio che durante tutto il decennio aveva impostato il suo lavoro all’interno sia da una certa tensione astratta che da una materica, come segnalato da Lucio Barbera in occasione della mostra Collezione Privata Pictura in Urbe (1989).
L’opera è stata acquisita dalla Galleria Provinciale d’arte moderna e contemporanea della Provincia di Messina nel 1989. Appartiene a una tappa importante del percorso artistico di Anastasio che durante tutto il decennio aveva impostato il suo lavoro all’interno sia da una certa tensione astratta che da una materica, come segnalato da Lucio Barbera in occasione della mostra Collezione Privata Pictura in Urbe (1989).In Occhi per vedere Anastasio il colore è assolutizzato nel monocromo, cui l’artista dà la forma sagomata di quella che potrebbe essere una sorta di porta, leitmotiv iconografico di tutta la sua produzione. Immagine mentale, tuttavia piena di materici riferimenti alla realtà, l’opera si muove nel solco della tradizione modernista che ha fatto dell’autoriflessione uno dei suoi principali motivi. Un’autoriflessione nata con l’inventore dell’astrattismo, Vasili Kandinskij e poi proseguita durante tutto il Novecento, con varie declinazioni, l’espressionismo astratto americano, e sottoprodotti, la Nuova pittura. La pittura modernista è la pittura dell’età della tecnica, dove la riflessione sui mezzi, sulle forme, suoi colori del “fare arte” scalza l’interesse per l’oggetto rappresentato. I pittori modernisti cercano l’espressività pura attraverso gli strumenti della loro tecnica, non più come esito di una tradizione di teorie e pratiche, ma come mezzo le cui potenzialità devono essere esplorate fuori dal rapporto con la mimesi e la realtà oggettiva. E’ un percorso di spoliazione formale che interessa anche l’architettura, disciplina che proprio nel XIX secolo abbandonerà la decorazione per concentrarsi sulla messa a nudo delle strutture e degli elementi della sua costituzione. Sono questioni che Anastasio conosce benissimo, essendo anche un architetto. Tuttavia, il pericolo di sterilità di un’arte senza contenuto è ampiamento superato dall’artista che anche nell’assoluto formale trova il modo per alludere a qualcosa di altro, mentale se non addirittura spirituale.
L’opera è stata acquisita dalla Galleria Provinciale d’arte moderna e contemporanea della Provincia di Messina nel 1989. Appartiene a una tappa importante del percorso artistico di Anastasio che durante tutto il decennio aveva impostato il suo lavoro all’interno sia da una certa tensione astratta che da una materica, come segnalato da Lucio Barbera in occasione della mostra Collezione Privata Pictura in Urbe (1989). In Occhi per vedere Anastasio il colore è assolutizzato nel monocromo, cui l’artista dà la forma sagomata di quella che potrebbe essere una sorta di porta, leitmotiv iconografico di tutta la sua produzione. Immagine mentale, tuttavia piena di materici riferimenti alla realtà, l’opera si muove nel solco della tradizione modernista che ha fatto dell’autoriflessione uno dei suoi principali motivi. Un’autoriflessione nata con l’inventore dell’astrattismo, Vasili Kandinskij e poi proseguita durante tutto il Novecento, con varie declinazioni, l’espressionismo astratto americano, e sottoprodotti, la Nuova pittura. La pittura modernista è la pittura dell’età della tecnica, dove la riflessione sui mezzi, sulle forme, suoi colori del “fare arte” scalza l’interesse per l’oggetto rappresentato. I pittori modernisti cercano l’espressività pura attraverso gli strumenti della loro tecnica, non più come esito di una tradizione di teorie e pratiche, ma come mezzo le cui potenzialità devono essere esplorate fuori dal rapporto con la mimesi e la realtà oggettiva. E’ un percorso di spoliazione formale che interessa anche l’architettura, disciplina che proprio nel XIX secolo abbandonerà la decorazione per concentrarsi sulla messa a nudo delle strutture e degli elementi della sua costituzione. Sono questioni che Anastasio conosce benissimo, essendo anche un architetto. Tuttavia, il pericolo di sterilità di un’arte senza contenuto è ampiamento superato dall’artista che anche nell’assoluto formale trova il modo per alludere a qualcosa di altro, mentale se non addirittura spirituale. La “soglia dipinta” costituisce uno dei temi principali della pittura parietale romana (IV stile pompeiano). I complicati affreschi della Casa dei Vetti a Pompei e della Domus Area a Roma, ricordano curiosamente l’estetica di questo pittore interessato al dialogo tra la tela e lo spazio architettonico, interno ed esterno a essa. Un’ulteriore suggestione viene dalla lettura iconografica tradizionale delle grandi cornici e delle porte delle pitture romane: si tratterebbe di soglie esoteriche, passaggi verso segreti misterici, dimensioni non umane. In Anastasio l’elemento esoterico e divino non è presente, l’invito alla riflessione, al dialogo tra lo spettatore e le forme proposte è di origine filosofica, per lo più laica. Anche se il biancore di Occhi per vedere potrebbe in qualche modo far cedere verso vette assolutizzanti, la matericità dell’opera, i tocchi dell’olio e l’andamento fluido e poi viscoso del pigmento sembrano trattenere lo sguardo sulla superfice, aprendo allo spettatore una soglia di sensazioni e immagini. Frammento d’alba, portale d’accesso al culto della Ragione, Occhi per vedere suona come una provocazione, un invito dichiarato a non rimanere oltre la porta e a entrare nella ricerca mentale intorno alla struttura stessa delle cose, intorno alla loro esistenza dentro lo spazio. E’ una tensione che contraddistingue tutta l’opera di Anastasio, che più tardi sarà ancora più esplicito in questa ricerca, come nel caso dell’istallazione Costellazioni (1994) al monte di Pietà, vero e proprio taglio immaginario dentro le mura ruvide del monumento. Architettura, pittura, spazio e immaginazione sono gli elementi di quest’opera misteriosa e potente che chiama lo spettatore ad aprire gli e ad attraversarne tutta la sua apertura: “La poetica dell’opera aperta tende, come dice Prouseur, a promuovere nell’interprete atti di libertà cosciente, a porlo come centro attivo di una rete di relazioni inesauribili, tra le quali egli instaura la propria forma, senza essere determinato da una necessità che gli prescrive i modi definitivi dell’organizzazione dell’opera fruita; ma si potrebbe obiettare […] che qualsiasi opera d’arte, anche se non si consegna materialmente incompiuta, esige una risposta libera e inventiva, se non altro perché non può venire realmente compresa in un atto di congenialità con l’autore stesso. Senonché questa osservazione costituisce un riconoscimento che l’estetica contemporanea ha attuato solo dopo aver realizzato una matura consapevolezza critica di quello che è il rapporto interpretativo e certamente un artista di qualche secolo fa era assai lontano dall’essere criticamente cosciente di questa realtà; ora invece una tale consapevolezza è presente anzitutto nell’artista il quale, anziché subire l’apertura come dato di fatto inevitabile, la elegge a programma produttivo, ed anzi offre l’opera in modo di promuovere la massima apertura possibile.”[1].