La figura di Giovanni Scarfì s’inserisce a pieno titolo nel novero dei maggiori rappresentanti della cultura artistica messinese a cavallo tra Ottocento e Novecento. La sua intensa produzione plastica corrispondeva pienamente alle specifiche esigenze della borghesia locale, aspetto che gli procurò fin dagli esordi ampi consensi. L’eccezionale e feconda attività in campo funerario – ampiamente documentata da varie pubblicazioni - è stata talmente vasta da incidere concretamente sulla fisionomia delle zone più antiche del nostro Gran Camposanto. Le notizie più importanti correlate al suo percorso artistico si rintracciano nei profili redatti dagli storici contemporanei. Si occupa dell’artista Pietro Preitano: Biografie Cittadine, 1881, fonte campanilistica ma certamente preziosa. In seguito redige una scheda biografica Angelo De Gubernatis, che include lo scultore nel VI fascicolo ( 1891) del Dizionario degli Artisti Italiani Viventi. Il dossier concernente la voce “Giovanni Scarfì”, con correzioni autografe, è presentato in mostra contestualmente ad una selezione di volumi a carattere artistico pertinenti alla sua notevole biblioteca personale . I dati dei due biografi ottocenteschi, ampliati e ripresi dagli studi successivi, s’implementano grazie all’interessante carteggio e alle opere messe a disposizione dalla famiglia dei De Fichy, eredi diretti dello scultore. Queste carte, custodite con amore e dedizione dal nipote Egidio, consentono di precisare non pochi aspetti della personalità e dello spessore culturale dell’artista. Il celebre nonno materno possedeva un archivio notevole formato da un consistente numero di fotografie che documentano monumenti d’interesse storico - artistico sparsi in tutto il territorio nazionale e opere di scultori suoi contemporanei e non, soggetti particolari di cui alcuni esempi sono presenti in mostra, come ad esempio figure femminili e maschili in costume popolare, leoni , ripresi dal vero o dalla statuaria celebrativa. Giovanni Scarfì nasce nel 1852 a Faro Superiore, privo di entrambi i genitori fu allevato dalla zia materna suor Caterina Sgroi. Il ragazzo mostra ben presto le sue attitudini artistiche e viene iscritto nel 1862 alla Scuola di Arti e Mestieri istituita presso l' Orfanotrofio provinciale denominato Real Convitto Cappellini, dove riceve i primi insegnamenti dal pittore Giuseppe Minutoli. Nell’Istituto comincia a modellare in creta e a realizzare varie opere: il busto del suo maestro Antonino Busacca, quello del direttore Marchese Foti, del pittore Michele Panebianco e di altri personaggi accuratamente elencati dal Preitano. L'inizio del suo percorso è testimoniato dal bozzetto in gesso della zia suora, datato 1871, conservato nella raccolta Scarfì - De Fichy. Le ottime e precoci capacità espressive dell'artista suscitano l'interesse dell'architetto Leone Savoja che, su mandato del Comune, gli commissiona la statua dell'Addolorata da collocarsi nella cappella del Cenobio presso il Gran Camposanto (Preitano, 1881 rist. 1994, p. 215). La statua, come annota lo stesso Scarfì, fu modellata nel 1871 nei locali del Convitto Cappellini che diventerà il suo primo laboratorio. Incomincia così l'importante e fruttuosa amicizia con Leone Savoja. L’autorevole architetto aveva percepito, evidentemente, le potenziali possibilità dell'artista e le intrinseche qualità espressive che tanto avrebbero concorso al prestigio del Gran Camposanto. Lo scultore ottiene, per il biennio 1872 – 1873, l’ambito sussidio che gli consente di studiare a Roma. Raggiunge la capitale in compagnia di Leone Savoja che lo introduce nell’ambiente artistico. Incoraggiato e sostenuto dall’autorevole mentore s’iscrive all'Accademia di San Luca. Successivamente frequenta il “Circolo Artistico” e i prestigiosi atelier di Giulio Monteverde e di Girolamo Masini. Risalgono probabilmente al 1872 – 1873 le esercitazioni pittoriche documentate dai deliziosi e inediti bozzetti con studi di figure in costume popolare o in abiti borghesi, eseguiti ad acquarello o a pastello su carta, esposte per la prima volta in questa occasione. La gradevole produzione autografa si colloca in un preciso contesto romano e registra una tipica tendenza artistica del periodo. Essa è legata alla cultura verista e agli interessi antropologici e positivistici ampiamente perseguiti da moltissimi artisti nella seconda metà dell’Ottocento. Un fenomeno che comunque trae le sue origini dai vastissimi repertori prodotti da Bartolomeo Pinelli e in seguito dal figlio Achille (Roma 1809 – Napoli 1841) per documentare fogge e costumi popolari, laziali o dell’Italia centro meridionale. Analogamente a una consuetudine peculiare ai moltissimi artisti forestieri che frequentavano la capitale, anche Giovanni Scarfì si cimentò in questo genere pittorico eseguito dal vero o su riproduzioni. Era abbastanza diffusa all’epoca la consuetudine di ritrarre modelli femminili e maschili in costume popolare che giornalmente si recavano a Trinità dei Monti con questo scopo o per farsi fotografare. Il genere costituiva un filone di facile mercato ed era destinato ai numerosi stranieri in visita nella città eterna, sempre alla ricerca di souvenir pittoreschi. Lo scultore, tuttavia, sul retro di uno di questi deliziosi bozzetti (n.1), “ studio di contadina di Sorrento”, annota che a Roma “nell’Accademia di Gigi”o nelle altre accademie che frequentava, era solito esercitarsi dal vero producendo una grande quantità di bozzetti in seguito donati agli amici. In effetti l’impiego della tecnica ad acquarello per le attività di studio e sperimentazione rappresenta, proprio negli anni Settanta, un aspetto tipico che da Milano si diffonde a Roma e nelle altre regioni italiane. Nel 1863 Luigi Talarici, soprannominato Ercole, dopo essere stato uno dei più richiesti modelli, fondò a Roma, in un vecchio granaio di via Margutta, l'Accademia di Gigi in romanesco “Giggi” dove si riunivano pittori italiani e stranieri che si esercitavano dal vero nella tecnica dell’acquarello. Questo genere raggiunge momenti di grande fortuna, tanto che nel 1875 sarà istituita una Società di acquarellisti con sede espositiva proprio nell’Accademia “di Giggi”. Una pratica che è diligentemente applicata dal giovane allievo messinese il cui impegno accademico è ben documentato da questo inedito lotto di figure femminili in costume folcloristico. Tra le opere esposte emerge per eleganza lo studio di un giovanetto (n.2) con abito di corte in stile impero (1800 – 1810), la figura affiora con disinvoltura dal fondo grazie al contrasto tra la liquida campitura bruna e la chiara gamma cromatica che definisce la foggia dell’abbigliamento. Una particolare attenzione ai dettagli decorativi caratterizza anche il piccolo bozzetto ad olio con la rappresentazione della giovane donna vestita da spagnola, firmato G. Scarfì Roma 1872, nel quale è evidente con quanta attenzione l’artista si cimenti nella resa dei serici e preziosi tessuti. Un apprendistato che svilupperà magistralmente nella sua produzione plastica notoriamente caratterizzata dalle fogge accurate di personaggi maschili e femminili. E’ probabile che nel dipinto sia raffigurata proprio una modella dell’Accademia di “Giggi”, sul retro l’artista annota: “costume spagnolo (…) la modella si chiama Angelica”. Dallo stesso ambiente proviene forse anche la “Modella Lisetta detta Gallinanara” raffigurata in costume cinquecentesco nel 1872(?) nel grazioso dipinto di tipologia simile al precedente. Risalgono probabilmente allo stesso periodo i due intensi studi di testa maschile, eseguiti ad acquarello su carta, distinti da una vibrante e complessa tavolozza pittorica, la costruzione dei volti emerge plasticamente attraverso il ricco cromatismo e la stesura a piccoli tocchi di sapore quasi scapigliato (n.5). A quest’altezza cronologica si colloca pure il gradevole bozzetto, modellato in gesso, di bimba dormiente (1872) testimoniato da una foto d’epoca. (Credit Grazia Musolino)
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Messina Faro Superiore
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Data Completa Certa:
Tuesday, November 23, 1852