Come emerge dallo scritto di Barbagallo (Michele Panebianco. Studi biografici, Venezia 1869, pp. 61, 68) Gregorio Panebianco fu il nipote prediletto del maestro messinese Michele Panebianco (Messina, 1806 –1873) e continuatore del mestiere dello zio. La sua produzione, tuttavia, risulta ancora oggi esigua e limitata solo a poche opere superstiti. La presenza di un corpus di disegni e dipinti all’interno della collezione in oggetto, costituisce quindi la testimonianza più corposa della produzione del pittore. La cifra stilistica di Gregorio Panebianco rimane tuttavia ancorata ai canoni accademici impartiti dallo zio Michele e si lega alla sua attività di insegnante presso la Scuola Comunale di disegno di Messina. Scomparso insieme alla moglie Grazia Fobert e ai figli Gustavo e Aurelio nel terremoto del 1908, Gregorio può a ragione ritenersi l’erede spirituale dello zio Michele. Infatti attese alla sistemazione delle opere lasciate dallo zio dopo la sua morte e, bisogna aggiungere, come suggeriva La Corte Cailler, non sempre si adoperò per mantenere integro il lascito, provvedendo in taluni casi a vendite e cessioni di opere dello zio (G. La Corte Cailler, Il mio diario 1903-1906, a cura di Giovanni Molonia, II, Messina, [2002], pp. 433, 452, 714). Di Gregorio Panebianco si conoscono il dipinto perduto con Giuditta e Oloferne già nel Rettorato dell’Università degli studi di Messina e il San Giovanni Battista nel deserto nella chiesa parrocchiale di Altolia (forse derivato da un disegno di Michele presente nella collezione in esame). Il suo nome è tuttavia legato ad un perduto dipinto celebrativo firmato nel 1882: Lo sgombro delle truppe borboniche dalla Cittadella di Messina dopo la resa della fortezza. Il quadro di notevoli dimensioni (310 x 205 cm) fu presentato all’Esposizione Didattica-Interprovinciale dello stesso anno e proposto in vendita al Comune peloritano l’anno successivo. Acquistata dalla medesima istituzione per la somma di duemila lire, l’opera confluì successivamente nelle raccolte del Museo Civico per ornare la sala decima destinata a racchiudere i “ricordi storici messinesi del 1821, 1848, 1860”. Qui la ricordano Virgilio Saccà nel 1900 e Gaetano La Corte Cailler, che nel suo manoscritto sul Museo del 1902 ne annota un’accurata descrizione. Il terremoto del 1908 danneggiò gravemente l’ex Monastero di San Gregorio nei cui locali era allestito il Museo Civico Peloritano e la tela fu abbandonata fino ad essere distrutta. Nel 1892 Gregorio replicò l’opera in piccolo formato e nello stesso anno propose in vendita il dipinto (firmato in basso a sinistra: “G. Panebianco f. Messina 1892”) alla locale Camera di Commercio, dove oggi è conservato.Il tema trattato con intenti commemorativi riguarda la resa, avvenuta il 13 marzo del 1861, delle milizie borboniche asserragliate nella Real Cittadella di Messina. Come raccontano parecchie fonti coeve di parte borbonica o savoiarda, cui il pittore dovette fare riferimento per l’ideazione del quadro. Vista l’importanza del soggetto e le vicende che interessarono le due redazioni dell’opera, acquistano particolare significato gli schizzi e i disegni preparatori relativi al dipinto presenti in collezioni private. Per i riferimenti bibliografici: G. Molonia, Gregorio Panebianco (Scheda biografica), in Gli anni dimenticati. Pittori a Messina tra Otto e Novecento, catalogo della mostra a cura di Gioacchino Barbera, Messina, Sicania, 1998; L. Giacobbe (a cura di), Opere d’arte della Camera di Commercio di Messina. Ottocento e primo Novecento, Presentazione di Antonino Messina. Saggi di Sergio Bertolami e Gioacchino Barbera. Catalogo di Luigi Giacobbe, Messina, Magika Edizioni, 2011, pp. 91-95.
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