I carabinieri (primo titolo I soldati conquistatori), che rappresenta l’opera teatrale più nota nella produzione joppoliana, è un amaro apologo sull’inutilità della guerra e della violenza bellica, espressa in chiave parodica e anti-realistica. Il testo conosce, oltre a diverse rappresentazioni (tra cui quella del 1962 al Festival dei Due Mondi di Spoleto per l’unica regia teatrale di Roberto Rossellini, con scene di Renato Guttuso, interpreti Turi Ferro, Pupella Maggio, Gastone Moschin), anche la riduzione cinematografica di Jean Luc Godard (Les carabiniers, 1963, su soggetto di Rossellini).
I carabinieri (primo titolo I soldati conquistatori), che rappresenta l’opera teatrale più nota nella produzione joppoliana, è un amaro apologo sull’inutilità della guerra e della violenza bellica, espressa in chiave parodica e anti-realistica. Il linguaggio si assesta su varianti iperboliche, a tratti macabre, ma sempre secondo un canone farsesco anticipatore di un tipo di umorismo alla Ionesco e del non sense assoluto dell’ultima fase drammaturgica dell’autore. La perdita del senso pertiene, nello stesso anno, alla stesura de La giostra di Michele Civa, ma con la differenza che, alla redenzione finale prospettata al protagonista in questo romanzo, subentra, nell’opera drammaturgica, la sorte irredimibile della fine di ogni forma umana, dopo il grande inganno della guerra, che accomuna vincitori e vittime in uno stesso balletto tragico e grottesco. Il testo conosce, oltre a diverse rappresentazioni (tra cui quella del 1962 al Festival dei Due Mondi di Spoleto per l’unica regia teatrale di Roberto Rossellini, con scene di Renato Guttuso, interpreti Turi Ferro, Pupella Maggio, Gastone Moschin), anche la riduzione cinematografica di Jean Luc Godard (Les carabiniers, 1963, su soggetto di Rossellini). Ma i critici segnalano importanti tappe, come quella del 1945 a Bologna, per la regia di Fantasio Piccoli, e all’estero, tra cui nel 1958 al Théatre d’Aujourd’hui di Parigi, regia di Jacques Audiberti, a Vienna (1956), regia di Herbert Wochinz (repliche a Wageningen, Malmoe, Zurigo). In tempi più recenti, si ricordano una rappresentazione allo Stabile di Catania nel 1979, regia di Lamberto Puggelli, e una a Gibellina, per le Orestiadi del 1994, con la regia di Ninni Bruschetta.
I carabinieri (primo titolo I soldati conquistatori), che rappresenta l’opera teatrale più nota nella produzione joppoliana, è un amaro apologo sull’inutilità della guerra e della violenza bellica, espressa in chiave parodica e anti-realistica. Il linguaggio si assesta su varianti iperboliche, a tratti macabre, ma sempre secondo un canone farsesco anticipatore di un tipo di umorismo alla Ionesco e del non sense assoluto dell’ultima fase drammaturgica dell’autore. La perdita del senso pertiene, nello stesso anno, alla stesura de La giostra di Michele Civa, ma con la differenza che, alla redenzione finale prospettata al protagonista in questo romanzo, subentra, nell’opera drammaturgica, la sorte irredimibile della fine di ogni forma umana, dopo il grande inganno della guerra, che accomuna vincitori e vittime in uno stesso balletto tragico e grottesco. I due carabinieri del titolo, attraverso i caratteri precipui che ne definiscono la presenza nel dramma, preparano il terreno alla topica della produzione immediatamente successiva, che Joppolo innesta sulla critica contro la rapacità dello Stato, entità mostruosa retta da emissari untuosi e grotteschi, come sono appunto i protagonisti eponimi di questa pièce. Dietro l’officina creativa del testo, vi sono, non a caso, precise motivazioni personali, quali l’esperienza dell’arresto e del confino per la militanza antifascista, la partecipazione alle vicende resistenziali, raccontata in una parte ancora inedita della produzione narrativa, e, più a fondo, una profonda e naturale avversione maturata contro ogni forma di violenza, che proprio con la seconda guerra mondiale, i campi di concentramento e la bomba atomica raggiunge, nella prospettiva di Joppolo, un apice terrificante. Smarrita ogni utopia di salvezza, rimane ne I carabinieri l’angoscia del presente, celebrata da giochi assurdi del linguaggio, carico di valenze ambigue ed echi allusivi, e dalla marionettizzazione dei corpi. Tutti elementi che rimandano alla carnevalizzazione del dolore istituita, nello stesso anno, in un’altra prova romanzesca, Tutto a vuoto. A partire da I carabinieri l’aura del sogno, che aveva consentito nella prima stagione drammaturgica (inaugurata nel 1941 da L’ultima stazione e Il cammino) il ribaltamento del reale, per quanto feroce, nelle figure dell’evasione fantastica, svanisce del tutto, contemporaneamente alla delusione di Joppolo verso il teatro italiano che lo emarginava, provando ancora una volta ai suoi occhi una insostenibile ingiustizia. I residui onirici che sopravvivono fungono, piuttosto, da proiezioni significanti di una inguaribile malattia dell’inconscio, come risulta dai testi della stagione ’46-’48, centrata drammaturgicamente su una umanità da incubo. Opere come Andrea Pizzino, I tre cavalieri (1946), La tana, L’arma segreta (1947), La provvidenza (1948), recuperano tutte potenti memorie belliche, descrivendo l’abbrutimento e l'abiezione di una società che fatica a ricostruirsi sulle macerie di una devastazione completa. Lo sguardo di lucido disincanto e profondo sgomento per le sorti di uomini e istituzioni alla deriva non è mai privo, tuttavia, dell’arma affilata di un pungente humor noir, già praticato nella scrittura de I carabinieri. Il testo conosce, oltre a diverse rappresentazioni (tra cui quella del 1962 al Festival dei Due Mondi di Spoleto per l’unica regia teatrale di Roberto Rossellini, con scene di Renato Guttuso, interpreti Turi Ferro, Pupella Maggio, Gastone Moschin), anche la riduzione cinematografica di Jean Luc Godard (Les carabiniers, 1963, su soggetto di Rossellini). Ma i critici segnalano importanti tappe, come quella del 1945 a Bologna, per la regia di Fantasio Piccoli, e all’estero, tra cui nel 1958 al Théatre d’Aujourd’hui di Parigi, regia di Jacques Audiberti, a Vienna (1956), regia di Herbert Wochinz (repliche a Wageningen, Malmoe, Zurigo). In tempi più recenti, si ricordano una rappresentazione allo Stabile di Catania nel 1979, regia di Lamberto Puggelli, e una a Gibellina, per le “Orestiadi” del 1994, con la regia di Ninni Bruschetta (interpreti Giselda Volodi, Massimo Reale, Massimo Piparo, Irene Vivaldi, Vincenzo Tripodo e Maurizio Puglisi).