“Il trittico partecipa con maturità al clima post concettuale che continua e rifunzionalizzare, sulla scorta di una tradizione che risale ai protagonisti del dada internazionale, scarti industriali a fini artistici e, nello specifico, a rendere metaforicamente il simbolo del patibolo in uno alla illusione della rinascita” con queste motivazioni l’opera vince il Premio Arte Contemporanea 2009 indetto dalla Provincia Regionale di Messina. Fanno parte della giuria: Teresa Pugliatti, Caterina di Giacomo, Bruno Samperi e Giuseppe Filistad. Creazione paradigmatica per la comprensione della poetica di Linda Schipani, l’opera è stata presentata nel 2008 alla Candid Trust Galleries di Londra e al Museo Doria Pamphilj di Valmontoe.
“Il trittico partecipa con maturità al clima post concettuale che continua e rifunzionalizzare, sulla scorta di una tradizione che risale ai protagonisti del dada internazionale, scarti industriali a fini artistici e, nello specifico, a rendere metaforicamente il simbolo del patibolo in uno alla illusione della rinascita” con queste motivazioni l’opera vince il Premio Arte Contemporanea 2009 indetto dalla Provincia Regionale di Messina. Fanno parte della giuria: Teresa Pugliatti, Caterina di Giacomo, Bruno Samperi e Giuseppe Filistad. Creazione paradigmatica per la comprensione della poetica di Linda Schipani, l’opera è stata presentata nel 2008 alla Candid Trust Galleries di Londra e al Museo Doria Pamphilj di Valmontoe. L’esecuzione sospesa non è tanto quella di un patibolo, che pure efficacemente è rievocata, ma quella degli oggetti industriali che Linda Schipani sottrae alla discarica per assegnarvi nuovi significati e nuove funzioni. Tutto il suo lavoro, sia da artista, che da meticolosa organizzatrice delle mostre d’arte del riciclo all’Ecolab, è un manifesto della sensibilità ecologica del nostro tempo e, soprattutto, l’espressione di un passaggio epocale. La società dei consumi pur continuando a produrre miliardi di oggetti usa e getta, segna il passo di fronte alla crisi sistemica del capitalismo e all’incalzare delle nuove tecnologie che stanno rendendo obsoleti centinaia di oggetti: dalle lampadine al tungsteno, al libro, passando, per i dischi e il telefono fisso. “Ciò che caratterizza le arti del nostro secolo è la loro dipendenza da una rivoluzione tecnologica storicamente unica – in particolare le tecnologie della comunicazione e della riproducibilità – e la trasformazione che esse hanno subito in seguito a tale rivoluzione. Quanto alla secondo forza che ha rivoluzionato la cultura, cioè la società dei consumi di massa, essa è impensabile senza la rivoluzione tecnologica, per esempio senza il cinema, la radio, la televisione e i dispositivi portatili per l’ascolto della musica da tenere nel taschino della camicia. Ma è precisamente questo a non consentire che poche predizioni generali sul futuro dell’arte come tale”[1]. Appare, dunque, sintomatico di questo vorticoso mutamento, che un ingegnere dei materiali, donna e artista, dedichi la sua vita all’opera di salvazione di oggetti che la tecnica ha ormai dismesso dall’uso quotidiano, e che, invece, la sua arte tenta di sacralizzare, col rito laico dell’arte.
[1] Eric Hobsbawm, La fine della cultura: saggio su un secolo in crisi d’identità, Rizzoli, Milano 2013, p.21.
“Il trittico partecipa con maturità al clima post concettuale che continua e rifunzionalizzare, sulla scorta di una tradizione che risale ai protagonisti del dada internazionale, scarti industriali a fini artistici e, nello specifico, a rendere metaforicamente il simbolo del patibolo in uno alla illusione della rinascita” con queste motivazioni l’opera vince il Premio Arte Contemporanea 2009 indetto dalla Provincia Regionale di Messina. Fanno parte della giuria: Teresa Pugliatti, Caterina di Giacomo, Bruno Samperi e Giuseppe Filistad. Creazione paradigmatica per la comprensione della poetica di Linda Schipani, l’opera è stata presentata nel 2008 alla Candid Trust Galleries di Londra e al Museo Doria Pamphilj di Valmontoe. L’esecuzione sospesa non è tanto quella di un patibolo, che pure efficacemente è rievocata, ma quella degli oggetti industriali che Linda Schipani sottrae alla discarica per assegnarvi nuovi significati e nuove funzioni. Tutto il suo lavoro, sia da artista, che da meticolosa organizzatrice delle mostre d’arte del riciclo all’Ecolab, è un manifesto della sensibilità ecologica del nostro tempo e, soprattutto, l’espressione di un passaggio epocale. La società dei consumi pur continuando a produrre miliardi di oggetti usa e getta, segna il passo di fronte alla crisi sistemica del capitalismo e all’incalzare delle nuove tecnologie che stanno rendendo obsoleti centinaia di oggetti: dalle lampadine al tungsteno, al libro, passando, per i dischi e il telefono fisso. “Ciò che caratterizza le arti del nostro secolo è la loro dipendenza da una rivoluzione tecnologica storicamente unica – in particolare le tecnologie della comunicazione e della riproducibilità – e la trasformazione che esse hanno subito in seguito a tale rivoluzione. Quanto alla secondo forza che ha rivoluzionato la cultura, cioè la società dei consumi di massa, essa è impensabile senza la rivoluzione tecnologica, per esempio senza il cinema, la radio, la televisione e i dispositivi portatili per l’ascolto della musica da tenere nel taschino della camicia. Ma è precisamente questo a non consentire che poche predizioni generali sul futuro dell’arte come tale”[1]. Appare, dunque, sintomatico di questo vorticoso mutamento, che un ingegnere dei materiali, donna e artista, dedichi la sua vita all’opera di salvazione di oggetti che la tecnica ha ormai dismesso dall’uso quotidiano, e che, invece, la sua arte tenta di sacralizzare, col rito laico dell’arte.Anche perché questa dismissione dell’uso è, in realtà, un accantonamento, non una morte. Gli oggetti che quotidianamente vengono cestinati, buttati nei cassonetti, non spariscono. Si accumulano in enormi discariche prima di essere parzialmente smaltiti dall’inceneritore. E’ una situazione del tutto nuova nella storia dell’uomo, le cui ricadute ambientali devono essere ancora debitamente calcolate. Tuttavia, gli oggetti non sono semplicemente cose, custodiscono emozioni. Linda Schipani salva le attrezzature industriali dell’officina di famiglia, l’Ecolab appunto, e in questo vi è senza anche il segno di un’affezione personale. Tuttavia, il suo lavoro di preservazione e resurrezione va letto all’interno di quel “geroglifico sociale” (Zampieri 2014) che è Maregrosso, quartiere ultra popolare e industriale della città di Messina. L’Ecolab è il contenitore, la teca stilizzata di un momento storico, quello della fabbrica e della produzione in serie, che aveva avuto a Messina una stagione florida, seppur contraddittoria. Le baracche di Maregrosso e le sue ciminiere segnalano ancora oggi la grande confusione con cui la città affrontò la modernità nella preservazione di squilibri e distopie sociali, in quest’epoca forse ancora più tragiche e stridenti. Tuttavia, la sensibilità postmoderna di queste creazioni, il pensiero artistico e tecnico con cui Linda Schipani cerca di resuscitare le cose, sono il segnale di un’era nuova, o, al contrario, di una tragica, inevitabile fine.
[1] Eric Hobsbawm, La fine della cultura: saggio su un secolo in crisi d’identità, Rizzoli, Milano 2013, p.21.