L’opera, non datata, appartiene al primo periodo dell’attività di Gaetano Chiarenza. Sotto la guida dell’artista Stello Quartarone, anch’egli coinvolto nel Progetto Linguaggio Arte attivato al Mandalari, iniziò prima a disegnare e poi a dipingere sulle lenzuola usate del manicomio. Siamo intorno alla metà degli anni ’90, l’esiguità di mezzi non ferma la grande vena creativa di Chiarenza che, qui, addirittura, arriva anche alla bellissima cornice auto costruita.
L’opera, non datata, appartiene al primo periodo dell’attività di Gaetano Chiarenza. Sotto la guida dell’artista Stello Quartarone, anch’egli coinvolto nel Progetto Linguaggio Arte attivato al Mandalari, iniziò prima a disegnare e poi a dipingere sulle lenzuola usate del manicomio. Siamo intorno alla metà degli anni ’90, l’esiguità di mezzi non ferma la grande vena creativa di Chiarenza che, qui, addirittura, arriva anche alla bellissima cornice auto costruita. Cristo appare sulla croce con un bagliore, illuminando il fondo nero con gli occhi sgranati, “più imploranti che compassionevoli” (Zampieri). Una barba ispida e pungente decora il volto dell’uomo, mentre pesa sulla sua testa una triplice corona di spine. Il corpo tozzo è anatomicamente segnato da circonferenze di colore che delineano il petto e l’ombelico, mentre il perizoma svolazza con un elegante quanto bizzarro panneggio. La croce è corredata pure del titulus crucis, I.N.R.I. “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum”, che però è privo della N, probabilmente non presente nel modello interpretato da Chiarenza. La sua è pittura totalmente bidimensionale, sintetica e profondamente espressiva. Pochi colori: incarnato, bianco, rosso e nero, toni scuri rafforzati da tocchi di giallo dorato. Con coerenza, l’artista dipinge di rosso sia la cornice interna del quadro sia quella del retro, anch’esso dipinto e rafforzato con cementite. La costruzione della cornice, unicum all’interno della sua produzione, la scelta del tema e l’insolita barba del Cristo, ci portano a considerare quest’opera come il dichiarato capolavoro, dagli accenti autobiografici dell’artista/paziente. Immagine umanissima e carica di sentimento, la Crocifissione si trova oggi al Centro Diurno Camelot dell’ex Manicomio Mandalari di Messina insieme con altri lenzuoli, dipinti e sculture.
L’opera, non datata, appartiene al primo periodo dell’attività di Gaetano Chiarenza. Sotto la guida dell’artista Stello Quartarone, anch’egli coinvolto nel Progetto Linguaggio Arte attivato al Mandalari, iniziò prima a disegnare e poi a dipingere sulle lenzuola usate del manicomio. Siamo intorno alla metà degli anni ’90, l’esiguità di mezzi non ferma la grande vena creativa di Chiarenza che, qui, addirittura, arriva anche alla bellissima cornice auto costruita. Cristo appare sulla croce con un bagliore, illuminando il fondo nero con gli occhi sgranati, “più imploranti che compassionevoli” (Zampieri). Una barba ispida e pungente decora il volto dell’uomo, mentre pesa sulla sua testa una triplice corona di spine. Il corpo tozzo è anatomicamente segnato da circonferenze di colore che delineano il petto e l’ombelico, mentre il perizoma svolazza con un elegante quanto bizzarro panneggio. La croce è corredata pure del titulus crucis, I.N.R.I. “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum”, che però è privo della N, probabilmente non presente nel modello interpretato da Chiarenza. La sua è pittura totalmente bidimensionale, sintetica e profondamente espressiva. Pochi colori: incarnato, bianco, rosso e nero, toni scuri rafforzati da tocchi di giallo dorato. Con coerenza, l’artista dipinge di rosso sia la cornice interna del quadro sia quella del retro, anch’esso dipinto e rafforzato con cementite. La costruzione della cornice, unicum all’interno della sua produzione, la scelta del tema e l’insolita barba del Cristo, ci portano a considerare quest’opera come il dichiarato capolavoro, dagli accenti autobiografici dell’artista/paziente. Immagine umanissima e carica di sentimento, la Crocifissione si trova oggi al Centro Diurno Camelot dell’ex Manicomio Mandalari di Messina insieme con altri lenzuoli, dipinti e sculture. I soggetti religiosi all’interno della sua pittura sono maggioritari. Un San Gabriele Arcangelo (1994) e un San Giovanni Battista (1996) si trovano oggi nella galleria del Centro di Salute Mentale di Messina. Le date delle due opere ci inducono a considerare il biennio come il momento della pittura di Chiarenza, che tuttavia sarà gradualmente abbandonata per la scultura. Ad averlo portato ai blocchi di tufo fu sempre Quartarone che individuò nell’ossessione geometrica dei suoi disegni l’attitudine al taglio, al lavoro di cavatura della materia. Non solo, Chiarenza, da buon artista, si rivolse alla scultura anche per poter vendere le sue opere. Partito da grandi idoli di pietra dal sapore primitivo, approda poi a piccoli cavalli e teste più facili da “piazzare” ai medici e gli amici del Camelot. L’aver conosciuto l’arte a quarantanove anni, cambiò radicalmente sua la vita e quella dei pazienti della struttura. Egli si dedicò con grande disciplina e attenzione alle sue opere, lavorando tutti giorni, otto ore al giorno. Con lungimiranza il Progetto Linguaggio arte precedette le odierne pratiche di arte terapia, trovando nell’espressione artistica la cura, catartica, delle tensioni nervose ed emotive dei suoi pazienti, ma anche il canale di comunicazione sociale per scardinare le logiche di esclusione che riducevano i manicomi a luoghi di segregazione e degrado desolante. La lettura del contesto, tuttavia, non deve allontanare da una valutazione dell’opera di questo artista. La quantità, la qualità, la cura, e la potenza emotiva delle sue immagini candidano Chiarenza tra gli esempi più interessanti d’arte irregolare siciliana, con Giovanni Cammarata, Giovanni Bosco e Filippo Bentivegna.