Sirene siciliane. L’anima esiliata in «Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con prefazione di Vincenzo Consolo, è uscito per la prima volta per Sellerio nel 1986 ed è stato ripubblicato nel 2011 per i tipi della casa editrice Moretti & Vitali di Bergamo. Si tratta di uno studio junghiano condotto da Basilio Reale sul racconto Lighea di Tomasi di Lampedusa e, segnando l’esordio del poeta orlandino nella scrittura saggistica, si offre come studio sull’anima dei siciliani e come indagine sui processi mitopoietici della letteratura.
Sirene siciliane. L’anima esiliata in «Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con prefazione di Vincenzo Consolo, è uscito per la prima volta per Sellerio nel 1986 ed è stato ripubblicato nel 2011 per i tipi della casa editrice Moretti & Vitali di Bergamo. Si tratta di uno studio junghiano condotto da Basilio Reale sul racconto Lighea di Tomasi di Lampedusa e, segnando l’esordio del poeta orlandino nella scrittura saggistica, si offre come studio sull’anima dei siciliani e come indagine sui processi mitopoietici della letteratura. In esso memoria autobiografica, suggestioni letterarie e teoria psicoanalitica si fondono in un testo complesso e stratificato, che prende spunto dall’interpretazione di uno dei più celebri racconti dell’autore del Gattopardo. Scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia, Lighea (o La sirena), al limite tra il reale e il surreale, è la storia di un amore formidabile, quello tra la mitica creatura degli abissi e un uomo, che, da quel momento, non potrà più gustarne un altro. Tomasi di Lampedusa ambienta il racconto nella Torino di fine anni Trenta, dove un anziano e celebratissimo ellenista, Rosario La Ciura, evoca attraverso il dialogo con un giovane amico la sua inconsueta e intensa storia d’amore con Lighea, conosciuta, a poco più di vent’anni, in occasione di un prolungato e solitario soggiorno estivo su una spiaggia siciliana. Lighea è letta come simbolo della forza che, in grado di rigenerare la vita e l’immaginazione, può trasformare il vuoto interiore in occasione di rinascita: le sirene, afferma Reale, affiorano alla profondità dell’inconscio, cariche di energia, per agire sulla vita e sull’immaginazione, come avviene a La Ciura. Attraverso l’analisi psicanalitica del racconto, Sirene siciliane indaga inoltre la presenza di Lighea come espressione della pulsione inconscia del desiderio sessuale, fino al superamento nevrotico del limite, cioè fino alla trasgressione. Incarnazione di tratti animali e divini insieme, creatura spirituale ed istintiva al tempo stesso, forza seduttrice e grembo materno, la sirena reca i segni della indistinzione che era all’origine della vita, ed evoca paradisi perduti e utopie.
Sirene siciliane. L’anima esiliata in «Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con prefazione di Vincenzo Consolo, è uscito per la prima volta per Sellerio nel 1986 ed è stato ripubblicato nel 2011 per i tipi della casa editrice Moretti & Vitali di Bergamo. Si tratta di uno studio junghiano condotto da Basilio Reale sul racconto Lighea di Tomasi di Lampedusa e, segnando l’esordio del poeta orlandino nella scrittura saggistica, si offre come studio sull’anima dei siciliani e come indagine sui processi mitopoietici della letteratura. In esso memoria autobiografica, suggestioni letterarie e teoria psicoanalitica si fondono in un testo complesso e stratificato, che prende spunto dall’interpretazione di uno dei più celebri racconti dell’autore del Gattopardo. Scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia, Lighea (o La sirena), al limite tra il reale e il surreale, è la storia di un amore formidabile, quello tra la mitica creatura degli abissi e un uomo, che, da quel momento, non potrà più gustarne un altro. Tomasi di Lampedusa ambienta il racconto nella Torino di fine anni Trenta, dove un anziano e celebratissimo ellenista, Rosario La Ciura, evoca attraverso il dialogo con un giovane amico la sua inconsueta e intensa storia d’amore con Lighea, conosciuta, a poco più di vent’anni, in occasione di un prolungato e solitario soggiorno estivo su una spiaggia siciliana. Lighea è letta come simbolo della forza che, in grado di rigenerare la vita e l’immaginazione, può trasformare il vuoto interiore in occasione di rinascita: le sirene, afferma Reale, affiorano alla profondità dell’inconscio, cariche di energia, per agire sulla vita e sull’immaginazione, come avviene a La Ciura. Attraverso l’analisi psicanalitica del racconto, Sirene siciliane indaga inoltre la presenza di Lighea come espressione della pulsione inconscia del desiderio sessuale, fino al superamento nevrotico del limite, cioè fino alla trasgressione. Incarnazione di tratti animali e divini insieme, creatura spirituale ed istintiva al tempo stesso, forza seduttrice e grembo materno, la sirena reca i segni della indistinzione che era all’origine della vita, ed evoca paradisi perduti e utopie. «La sirena Lighea - come Afrodite Anadyomene, come Persefone, come la dea orientale Ishtar (dispensatrice della conoscenza delle cose segrete) o come l’Ondina di Giraudoux - è dea nata nell’acqua e che abita nell’acqua, l’elemento materno (amniotico) generante e rigenerante di ogni essere vivente: e nella cultura siciliana (nell’antropologia culturale che dà identità ai siciliani) c’è, secondo Reale, la costante tendenza a dare ascolto alla Sirena, ad affidarsi all’anima della memoria dell’infanzia, a idealizzare la madre come matrice e nutrice di linguaggio», secondo quanto osserva Raffaele Crovi (Diario del sud, 2005). Il saggio di Reale è stato presentato da Vincenzo Consolo, in una Prefazione che appare assai rilevante perché contribuisce a definire la visione dello scrittore sulla tradizione letteraria siciliana:
È questa sirena, risultante sin dal suo apparire assurda e incomprensibile nel mondo lampedusiano, che oggi Reale analizza con i sofisticati e sensibilissimi strumenti junghiani. Così Lighea, dalla sua lettura, diviene un ipogeo, un profondo scavo archeologico o, ci si passi il termine, archetipologico, in quel sepolto mondo arcaico, primigenio, mitico della parte orientale del Siciliano; e dall’ipogeo, sorprendentemente – abituati come siamo alle analisi critiche “superficiali”, sia pure raffinate come le semiologiche o strutturali – vengono alla luce, alla coscienza, frammenti, cocci, reperti, simboli insospettabili, che magistralmente ricostruiscono non solo la bellezza e l’armonia del racconto lampedusiano, ma anche il grande Racconto letterario e umano siciliano. L’archeologo o l’archetipologo Reale si cala sino in fondo nello scavo, si immedesima e coinvolge nel mondo e nei segni che man mano va scoprendo, come il professor La Ciura nei segni più riposti dei dialetti jonici. E la sua relazione allora si fa memoria, narrazione in cui le scoperte, i temi, gli spunti appaiono, spariscono per poi ritornare: un racconto che ha insomma l’andamento della Sirena. E la cornice, il supporto scientifico e probatorio è relegato giustamente ai margini, alle sostanziose note che sostengono la pagina. Se è vero, come sostiene Hillman, che la pratica analitica non è altro che poesia, questa di Reale lo è pienamente.