Foto Profilo Beniamino Joppolo
Intellettuale multiforme e poliedrico, Joppolo apporta il proprio originale contributo all’innovazione novecentesca dei codici artistici attraverso una imponente elaborazione teorica e una produzione letteraria ancora in parte inedita, che attraversa poesia, drammaturgia, narrativa, saggistica e pittura. Il dato biografico è sempre presente nei lavori joppoliani, che ospitano un immaginario connesso alla follia, alla malattia, alla violenza: temi attraverso cui sono descritti gli anni della guerra e del confino, subito per la militanza antifascista, e sono evocate le relazioni familiari, con il risultato di una profonda e amarissima desolazione esistenziale, negando diritto d’asilo al principio di realtà in nome dell’evasione onirica e fantastica. Dopo aver compiuto il primissimo tirocinio poetico in quel clima di estenuato simbolismo che, nell’area orientale dell’isola, contamina le scritture dei futuristi siciliani che fanno capo a Ruggero Vasari, Gugliemo Jannelli e Vann’Antò, l’artista di Patti esordisce nel 1929 con la raccolta I canti dei sensi e dell’idea. Ma è il soggiorno fiorentino, compiuto negli anni universitari, che consente al giovane Joppolo di sperimentare soluzioni narrative inedite, destinate a confluire nei racconti della silloge C’è sempre un piffero ossesso (1937). Prima della capitale parigina, dove si conclude il suo intenso e tormentato percorso esistenziale e artistico, Joppolo frequenta gli ambienti milanesi gravitanti attorno alla rivista «Corrente», giungendo al teatro nella stagione fortunata di Palcoscenico. In questo contesto vengono portati in scena i suoi lavori Il cammino e L’ultima stazione, nel 1941: quest’ultimo, con la regia di Paolo Grassi e le scene di Italo Valenti, ha come interpreti principali Strehler, Feliciani e Parenti e lascia calare il sipario su quella fase sperimentale che lega il teatro joppoliano alla storia della regia in Italia. Lo spirito innovatore di Joppolo riguarda anche la sua attività di pittore. Lo scrittore iniziò a dipingere contestualmente alla stesura milanese del Manifesto dello Spazialismo, firmato con Fontana, Crippa, Dova, Peverelli, Carozzi e De Luigi nel 1949. Nel catalogo della mostra alla Galleria del Cavallino di Venezia (1951), Joppolo chiarisce la natura della sua “tarda” avventura pittorica: «La pittura mi ha ridato la gioia di essere non più uno scrittore, uno che fa di mestiere l’artista, ma di essere un uomo che ha la necessità di scrivere e di dipingere qualcosa». La sua quindi è un’urgenza espressiva totale, una personalissima e avanzata fusione e di espressionismo e astrattismo che si guadagnò da subito l’apprezzamento di pittori e critici illustri, da Ettore Fagone fino ad Achille Bonito Oliva: «Non è l’artista ad essere preveggente, ma il linguaggio, che cova dentro di sé, immagini e risultati inusitati».