Riprendendo da Bartolo Cattafi, posto in epigrafe alla raccolta, la suggestione della “rema scendente” e di quella “montante” che, come fasci alterni di energia, Sicilia e Calabria si scambiano attraverso le acque dello Stretto, Maria Costa dedica i suoi versi al popolo del mare e al mondo mitico affacciato sulle sponde di Scilla e Cariddi. Il volume, edito nel 2003 dalla messinese EDAS, è parte di “Abralia”, collana di poesia e prosa contemporanea diretta da Giuseppe Cavarra, che ne cura l’introduzione.
Riprendendo da Bartolo Cattafi, posto in epigrafe alla raccolta, la suggestione della “rema scendente” e di quella “montante” che, come fasci alterni di energia, Sicilia e Calabria si scambiano attraverso le acque dello Stretto, Maria Costa dedica i suoi versi al popolo del mare e al mondo mitico affacciato sulle sponde di Scilla e Cariddi. L’altro nume tutelare del volume, dedicato al fratello Angelo, è Giuseppe La Farina, del quale viene evocata una descrizione della “marina al levare d’un’aurora di primavera”, focalizzando ancora lo sguardo sul frangersi delle onde e sulle navi raccolte dentro il “magnifico porto” della città. È Messina, dunque, ripresa non nei fasti rinchiusi negli archivi della macrostoria bensì negli umori popolari di un paesaggio umano inconfondibile, la vera protagonista del libro, che si configura come testimonianza privilegiata sulla vita, le angustie e le speranze delle genti dello Stretto. Espresso con un dialetto impreziosito da cesellature e arcaismi, parole dimenticate che nominano gli oggetti quotidiani dei pescatori della Riviera che, con quegli arnesi (luntri, buzzetti, filùi, traffineri, mattuà, affi), hanno sfidato in ogni tempo le forze della natura per procurarsi sostentamento, l’universo marino di Maria Costa si popola di infinite sfaccettature, proprio come le onde che, senza quiete, disegnano la biografia, la cultura e le tradizioni di una intera comunità. L’elemento primigenio da cui la poetessa messinese trae linfa e ispirazione è, infatti, il mare conosciuto sin da bambina, nel quartiere di Case Basse, in località Paradiso, dove è nata e cresciuta e dove il padre, il mitico Capitan Placido, le ha insegnato ad ascoltare i venti e le stelle. Il volume, edito nel 2003 dalla messinese EDAS, è parte di “Abralia”, collana di poesia e prosa contemporanea diretta da Giuseppe Cavarra, che ne cura l’introduzione.
Per la scrittrice di Case Basse il mare è il territorio del rischio e insieme il serbatoio della sanità morale e dei valori tradizionali. Appartenente ad una famiglia di pescatori – pescatore suo nonno soprannominato “il Pirata”, pescatore suo padre, pescatori i suoi fratelli, gente di mare quella che ha sempre frequentato – la Costa pone al centro dei suoi interessi umani e letterari vicende tratte da una specie di assillo morale che la porta a vedere in tutte le creature con le quali s’incontra nel suo cammino di scrittrice personaggi emblematici la cui funzione nella narrazione diventa quella di incarnare un dramma collettivo non in quanto persone a sé stanti, ma come esseri umani nei quali si riflettono situazioni e stati d’animo che hanno sempre uno stretto legame con l’ambiente e col gruppo umano di cui essi fanno parte. Nel fondo di ogni personaggio della Costa c’è una sorta di sacralità che la porta a evocare una civiltà favolosa e un modo di sentire popolare sul filo di comuni ed essenziali esperienze. “Voci” di una coscienza morale offesa che si levano al di fuori e al di là di ogni impegno immediato e diventano richiamo alla consapevolezza quanto più sono inserite nella favola e nel mito. Così Maria e Giuseppe, Demetrio, S. Placido, il Cefalotto, lo zio Cola, Fata Morgana, Annibale Maria di Francia assurgono a paradigmi di univoca esemplarità, nei quali la Costa trasfonde parte di se stessa conferendo al racconto il carattere di una creazione soggettiva e favolosa (Giuseppe Cavarra, Introduzione a Maria Costa, Scinnenti e Muntanti (Rema Scendente e Rema Montante), Messina, EDAS, 2003, pp. 8-9).