L’angoscia delle macchine, primo anello di una trilogia drammaturgica che comprende anche Raun e La mascherata degli impotenti, rappresenta una stravagante società fondata sul contrasto tra il principio maschile e quello femminile. Il testo, che avrebbe dovuto essere tradotto da Tzara in francese, venne pubblicato in tedesco sulla rivista «Der Sturm» nel 1925.
L’angoscia delle macchine, primo anello di una trilogia drammaturgica che comprende anche Raun e La mascherata degli impotenti, rappresenta una stravagante società fondata sul contrasto tra maschile e femminile. In questa sintesi futurista le donne sono un “sesso inutile ormai relegato nel vecchio continente” e nessuno sente più desiderio di averle accanto, neanche come schiave. Bacal e compagni, adoratori del dio macchina, sognano, piuttosto che l’unione con la donna, nuove guerre: vogliono essere grandi creatori e grandi distruttori. Le donne rifiutano tuttavia l'esclusione, desiderano essere ospitate nel mondo maschile e promettono che, in caso contrario, sarà guerra. Sono pronte a tutto, non possono sopportare di perdere i loro diritti; vogliono tornare a generare eroi. I maschi resistono, ma solo apparentemente, come svela l’epilogo, lugubre e all’insegna della misoginia tipicamente futurista. La missione dell’Uomo Nuovo è pericolosamente attentata dalla presenza del personaggio femminile che tenta di distoglierlo dal suo percorso di realizzazione. Ma, l’impossibilità per il maschio di sfuggire al potere seduttivo detenuto dalla donna contiene i margini per il riscatto della componente istintuale legata all’eros nel contesto industriale di cui Vasari canta il rovescio cupo e pauroso: cosicché, nei versi del futurista messinese, l’esaltazione dei caratteri animaleschi nelle figure femminili si risolve in regresso primordiale corrispondente al bisogno di abbandonarsi ad una sensualità tutta carnale sottomettendosi al potere irrazionale della natura. Il prototipo della donna demone, elaborato da una vasta tradizione ottocentesca che influenza Marinetti nella visione della sfida muliebre contro la volontà di potenza e creazione del maschio, è congiunto alle erudite fantasie sul vampirismo letterario del cui immaginario si nutre la misoginia di Ruggero Vasari. Come scrive Anna Barsotti, «le figure di donne vasariane corrispondono […] alla paura maschile, testimoniata dall’iconografia letteraria fineottocentesca e primo novecentesca, di una grande cospirazione femminile per succhiare virilità dalle vene degli uomini, per annientare il loro idealismo, o per scioglierli in cera e modellarli secondo mediocri fantasie». A questo aspetto si aggiunge il ribaltamento programmatico dell’ottimismo futurista proclamato con l’esaltazione del mito della macchina, che rende la sintesi vasariana una chiave di lettura imprescindibile per comprendere il clima specifico del gruppo avanguardista siciliano che, nell’area orientale dell’isola, contamina le scritture dei compagni di Ruggero Vasari, come Guglielmo Jannelli e Vann’Antò. “L’angoscia delle macchine” riflette così la posizione eterodossa dei futuristi messinesi rispetto alla centrale milanese, dalla quale si diramavano le indicazioni marinettiane. In una lettera a Jannelli, datata 1931, l’autore aveva esplicitato significativamente, e in chiave polemica, la propria poetica, espressa sotto il profilo artistico con la pubblicazione delle sintesi: “Io vado al di là del Futurismo perché mentre da un lato esalto la macchina dall’altro ne provo orrore! E perché? Perché la meccanizzazione distrugge lo spirito! Quando lo spirito è morto, anche l’uomo è morto o resta l’automa senza vita, senza desideri, senza gioie”. E ancora. “L’accademico Marinetti mi mostri una sua opera dove c’è l’esaltazione della Macchina! Non solo non ne ha prodotte, ma aggiungo è impotente a produrle. Tutte le sue opere (parlo proprio delle ultime!), sono ‘languidori’ passatisti, sono sentimentalismi e romanticismi alla De Musset, sono sensualismi ed erotismi assolutamente superati!”. Il testo, che avrebbe dovuto essere tradotto da Tzara in francese, venne pubblicato in tedesco sulla rivista “Der Sturm” nel 1925. Quindi, apparve in italiano sulla rivista “Teatro” e in volume per le Edizioni Rinascimento di Torino.