Tratto da La voce umana di Jean Cocteau, lo spettacolo è prodotto da Gigi Spedale per l’Associazione Culturale Querelle, con la regia di Vincenzo Tripodo e l’interpretazione dell’attrice siciliana Mariella Lo Sardo. La protagonista è una donna aggrappata al telefono, in una lunga conversazione con l’uomo che l’ha lasciata. Sebbene sia sola in scena, sono molteplici le presenze che assediano lo spazio della pièce. Tra queste c’è una bambola, doppio cui la stessa coscienza della donna dà possibilità di parola, come una ventriloqua. E c’è un uomo, all’altro capo del telefono, di cui il pubblico non sente la voce, ma percepisce quanto dice attraverso le reazioni dell’attrice.
Tratto da La voce umana di Jean Cocteau, lo spettacolo è prodotto da Gigi Spedale per l’Associazione Culturale Querelle, con la regia di Vincenzo Tripodo e l’interpretazione dell’attrice siciliana Mariella Lo Sardo. Le scenografie sono di Cristina Ipsaro Passione, le musiche di Ralph Towner, i costumi di Maison Studio, a cura di Liliana Pispisa, le luci di Gigi Spedale; aiuto regia è Cecilia Foti. La protagonista sulla scena è una donna aggrappata al telefono, in una lunga conversazione con l’uomo che l’ha lasciata. È questa, seguendo la traccia del testo di Cocteau del 1930, l’essenza di un dramma accorato e disperato, con cui si sono cimentate attrici del calibro di Anna Magnani e Ingrid Bergman. Ma al tema della dipendenza amorosa da un uomo che non c’è più, La donna perfetta unisce diversi rifermenti letterari, cinematografici e drammaturgici, in un gioco di sdoppiamenti reso possibile dall’espediente scenico di una bambola, che interagisce con la protagonista assumendone, come una ventriloqua, voce e coscienza, e dalle molteplici possibilità espressive esibite dall’uso del mezzo telefonico. All’altro capo del filo c’è la presenza di un uomo che, pur assente in scena, incombe su di essa lasciando che lo spettatore, attraverso le reazioni dell’attrice, ne percepisca sia le parole sia il tono con cui sono pronunciate. In un caleidoscopio di infinite rifrazioni, lo spettacolo allude ad un altro testo teatrale coevo a quello di Cocteau, A telephone call di Dorothy Parker, in cui la nevrosi della donna in scena è esasperata dal senso di attesa per un telefono che non squilla. Esaltando la componente di sapiente ironia con cui Mariella Lo Sardo lavora sul personaggio, l’occhio registico di Tripodo scruta la complessa psicologia della figura femminile evocata, sostituendo al punto di vista empatico l’osservazione analitica di processi mentali borderline. Ad emergere è il profilo di una donna bambina, in cerca di un padre più che di un compagno, senza mai arrivare ad una vera maturazione.
La dimensione della soglia, metateatrale riflessione sul sipario, che la finestra che campeggia sul palcoscenico intende evocare ed è abitata con sospensione dai passi della protagonista che vi passeggia sul davanzale e che gioca con questo dispositivo, simbolo pericolosissimo di un veicolo di morte. Altro elemento tipicamente tripodiano è il cappello, che già in altri lavori del regista aveva connotato il mistero e la crisi identitaria di una figura maschile assente sulla scena ma presente nelle piaghe emotive delle protagoniste femminili, anche esplicitamente evocate con riferimenti a precedenti lavori. Ancora una volta pertanto Tripodo riesce a far convogliare nel suo lavoro la metafisica di un teatro che genera domande nel ritratto ironico di un disagio postmoderno, attraverso un linguaggio che attinge dalla fiction televisiva e dal cult movie. [...] Non c’è salvezza per questa donna che mostruosamente viene ritratta dalle sapienti coreografie di Antonio Gullo, mentre canticchia sulle note di Ralph Towner e ferisce una cravatta e poi però non riesce a separarsene ed uno svago sensuale che si rigenera all’infinito viene claustrofobicamente riprodotto in un inferno peggiore di quello divino. (La bambola perfetta di Mariella Lo Sardo, in «Rumor(s)scena», 03/03/2013.