Dopo il terremoto, il Palazzo di Giustizia doveva essere velocemente ricostruito per ovvi motivi di continuità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. L’incarico fu affidato a Marcello Piacentini che elaborò un primo progetto di massima da sottoporre, come richiesto dalla normativa dell’epoca, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per una approvazione preventiva che doveva tenere conto delle deroghe alla normativa antisismica previste per gli edifici pubblici che dovevano assurgere al rango di punti focali aventi carattere di monumentalità in una città caratterizzata da altezze limitate ed una sostanziale uniformità di materiali e tecniche di realizzazione. L’architetto Piacentini presentò il progetto il 28 settembre del 1912 che fu discusso al Consiglio Superiore dei LL.PP. tra novembre e marzo dell’anno successivo con l’apporto di alcune modifiche alle previsioni di spesa. I lavori furono iniziati prima della grande guerra ma rimasero sostanzialmente fermi alle fondazioni dell’edificio per la crisi economica che ne conseguì.
Dopo il terremoto, il Palazzo di Giustizia doveva essere velocemente ricostruito per ovvi motivi di continuità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Così come per la costruzione dei più pregnanti edifici istituzionali che rappresentassero la presenza dello Stato nella città di Messina, anche per il tribunale si scartò la possibilità di ricorrere ad un concorso nazionale che avrebbe dilatato i tempi di realizzazione, preferendo l’incarico diretto a professionisti di chiara fama. Nel caso del Palazzo di Giustizia l’incarico fu affidato a Marcello Piacentini che elaborò un primo progetto di massima da sottoporre, come richiesto dalla normativa dell’epoca, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per una approvazione preventiva che doveva tenere conto delle deroghe alla normativa antisismica previste per gli edifici pubblici che dovevano assurgere al rango di punti focali aventi carattere di monumentalità in una città caratterizzata da altezze limitate ed una sostanziale uniformità di materiali e tecniche di realizzazione. L’architetto Piacentini presentò il progetto il 28 settembre del 1912 che fu discusso al Consiglio Superiore dei LL.PP. tra novembre e marzo dell’anno successivo con l’apporto di alcune modifiche alle previsioni di spesa. I lavori iniziarono prima della grande guerra ma rimasero sostanzialmente fermi alle fondazioni dell’edificio per la crisi economica che ne conseguì. L’edificio progettato da Piacentini occupava un’area coperta di 5.400 mq che insisteva sull’intero lotto di 16.000 mq dell’isolato 216 del piano Borzì potendo garantire agli edifici uno spazio verde intorno che permetteva all’edificio di staccarsi considerevolmente sui quattro fronti consentendo anche un migliore godimento dell’architettura da parte dei cittadini.
Nella città preterremoto il Palazzo di Giustizia di Messina era ospitato, fin da 1840, in una parte del convento di S. Andrea Avellino che sorgeva sull’area dell’attuale isolato 387 e che sarebbe dovuto essere adattato a sede del tribunale. Tuttavia una lunga questione, tra l’Amministrazione Comunale e il Ministero delle Finanze a seguito dell’Unità d’Italia, portò ad una dilatazione dei tempi di trasformazione tanto che nel 1908 il progetto non era ancora del tutto attuato. Dopo il terremoto, il Palazzo di Giustizia doveva essere velocemente ricostruito per ovvi motivi di continuità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, così come per la costruzione dei più pregnanti edifici istituzionali che rappresentassero la presenza dello Stato nella città di Messina, anche per il tribunale si scartò la possibilità di ricorrere ad un concorso nazionale che avrebbe dilatato i tempi di realizzazione, preferendo l’incarico diretto a professionisti di chiara fama. L’incarico per il Palazzo di Giustizia fu affidato a Marcello Piacentini che elaborò un primo progetto di massima da sottoporre, come richiesto dalla normativa dell’epoca, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per un’approvazione preventiva che doveva tenere conto delle deroghe alla normativa antisismica previste per gli edifici pubblici che dovevano assurgere al rango di punti focali aventi carattere di monumentalità in una città caratterizzata da altezze limitate e una sostanziale uniformità di materiali e tecniche di realizzazione. L’architetto Piacentini presentò il progetto il 28 settembre del 1912 che fu discusso al Consiglio Superiore dei LL.PP. tra novembre e marzo dell’anno successivo con l’apporto di alcune modifiche alle previsioni di spesa. I lavori iniziarono prima della grande guerra ma rimasero sostanzialmente fermi alle fondazioni per la crisi economica che conseguì allo scoppio della guerra. Il Palazzo di Giustizia occupava un’area coperta di 5.400 mq che insisteva sull’intero lotto di 16.000 mq dell’isolato 216 del piano Borzì potendo garantire agli edifici uno spazio verde intorno che permetteva all’edificio di staccarsi considerevolmente sui quattro fronti consentendo anche un migliore godimento dell’architettura da parte dei cittadini. Al corpo di fabbrica centrale, alto sedici metri, erano affiancati due edifici alti dieci metri realizzati in muratura confinata con cemento armato ed erano risolti alcuni problemi legati al dislivello tra l’estremità est e quella ovest dell’isolato attraverso la suddivisione in tre corpi di fabbrica collegati da camminamenti. Nel 1923, quando ripresero i lavori, Marcello Piacentini trovò inadeguato il primitivo progetto a causa dell’evoluzione del gusto per cui propose una nuova soluzione che, pur lasciando inalterata la pianta dell’edificio, ne modificava la veste architettonica mostrando così una sorta di maturazione del pensiero del progettista. Il linguaggio utilizzato da Piacentini, moderatamente modernista, trae spunti di riflessione dalle antichità della Sicilia, impiegando un ordine dorico gigante per caratterizzare l’edificio principale e riferendosi alla Sicilia anche per la scelta dei materiali e dei colori mediterranei: la pietra nera di Billiemi utilizzata per le colonne, i portali, le scale; la pietra gialla di Cinisi per le decorazioni e le colonne; la pietra giallo oro di Solunto per gli esterni e la pietra grigia di Billiemi per i portali. Piacentini progettò anche gli arredi interni, i mobili, le luci, le librerie curve delle biblioteche, i lampadari impiegando marmi e legni pregiati, perseguendo un classicismo dichiaratamente eclettico con rimandi al manierismo e al liberty. La facciata principale proposta da Piacentini nel progetto realizzato fa esplicito riferimento alla neoclassica Porta di Brandeburgo la cui impostazione viene, nel caso di Messina, declinata secondo la tradizione locale attraverso l’uso di una scalinata che ne eleva l’ingresso di qualche metro e dei materiali siciliani con inserti scultorei di ispirazione magno-greca. La facciata è conclusa da una chiara trabeazione sopra la quale insiste una quadriga opera dello scultore Ercole Drei. Numerose iscrizioni latine e motti adornano i prospetti che sono impreziositi dai tondi dell’attico rappresentanti il diritto e la legge dello scultore Giovanni Prini; le aquile di Nino Cloza e di Antonio Bonfiglio; alcuni medaglioni raffigurano esimi giuristi messinesi mentre le teste di Minerva sulle porte e sulle finestre sono rispettivamente degli scultori Bernardo Marescalchi e Antonino Bonfiglio. L’inaugurazione del vasto complesso architettonico avvenne il 28 ottobre del 1928.