Le pellicole di Amos Maurizio costituiscono la serie di opere realizzate dall’artista a partire dal 2012. Esperimento materico e cromatico, queste opere discendono direttamente dagli esperimenti dell’Informale (Burri e prima di lui Yves Klein). Il fuoco che modella le pellicole agisce qui come una sorta di scalpello, costruendo superfici iridescenti e cangianti, mobili e ricche d’inviti ottici e tattili alla relazione con il fruitore.
Le pellicole di Amos Maurizio costituiscono la serie di opere realizzate dall’artista a partire dal 2012. Esperimento materico e cromatico, queste opere discendono direttamente dagli esperimenti dell’Informale (Burri e prima di lui Yves Klein). Il fuoco che modella le pellicole agisce qui come una sorta di scalpello, costruendo superfici iridescenti e cangianti, mobili e ricche d’inviti ottici e tattili alla relazione con il fruitore. L’arte del riciclo, e una sensibilità estetica particolare per gli oggetti del quotidiano[1] (pellicole da cucina) rivisitati, sono alla base di queste opere. Il dialogo tra pittura e materia in Amos viene esplorato secondo quell’investigazione analitica e seriale che ripete la formula dell’esperimento dagli esiti sempre diversi e tuttavia coerenti e organici. Se questa estetica ha una lunga e documentata tradizione che parte dalla seconda metà del Novecento e giunge ai giorni nostri, non bisogna scartare una lettura locale che pure è confermata dalle parole dell’artista raccolte in un’intervista: "Messina ha una lunga tradizione artistica ma, negli ultimi anni, ha forse dimenticato la funzione importantissima che l’arte ha per una città: le dà l’impronta di chi la vive e di chi la attraversa, la rende riconoscibile e inconfondibile. Qual è l’impronta del nostro tempo? I nostri nipoti sapranno di noi o ci confonderanno con quelli di prima? Ecco, una buona risposta sarebbe diventare proprio il “pubblico dello Stretto” e fare e cercare l’arte nelle nostre strade, davanti al nostro mare, nelle piazze, nei viali, nei parchi. Non tanto e non solo al chiuso delle mostre". Di fatto, la città non ha prodotto una pubblica elaborazione estetica.
[1] "Questa è una cosa che mi affascina moltissimo. Le persone ormai buttano via di tutto, ci hanno inculcato l’idea dell’ “usa e getta”, tutto diventa vecchio ed inutile subito. Prendere l’anta di una finestra dal ciglio di una strada di periferia e trasformarlo in un quadro, farla “rivivere”, è una cosa che mi gratifica e che, al tempo stesso, mi diverte". http://www.infooggi.it/articolo/intevista-a-maurizio-sorce-inarte-amos/4...
Le pellicole di Amos Maurizio costituiscono la serie di opere realizzate dall’artista a partire dal 2012. Esperimento materico e cromatico, queste opere discendono direttamente dagli esperimenti dell’Informale (Burri e prima di lui Yves Klein). Il fuoco che modella le pellicole agisce qui come una sorta di scalpello, costruendo superfici iridescenti e cangianti, mobili e ricche d’inviti ottici e tattili alla relazione con il fruitore. L’arte del riciclo, e una sensibilità estetica particolare per gli oggetti del quotidiano[1] (pellicole da cucina) rivisitati, sono alla base di queste opere. Il dialogo tra pittura e materia in Amos viene esplorato secondo quell’investigazione analitica e seriale che ripete la formula dell’esperimento dagli esiti sempre diversi e tuttavia coerenti e organici. Se questa estetica ha una lunga e documentata tradizione che parte dalla seconda metà del Novecento e giunge ai giorni nostri, non bisogna scartare una lettura locale che pure è confermata dalle parole dell’artista raccolte in un’intervista: "Messina ha una lunga tradizione artistica ma, negli ultimi anni, ha forse dimenticato la funzione importantissima che l’arte ha per una città: le dà l’impronta di chi la vive e di chi la attraversa, la rende riconoscibile e inconfondibile. Qual è l’impronta del nostro tempo? I nostri nipoti sapranno di noi o ci confonderanno con quelli di prima? Ecco, una buona risposta sarebbe diventare proprio il “pubblico dello Stretto” e fare e cercare l’arte nelle nostre strade, davanti al nostro mare, nelle piazze, nei viali, nei parchi. Non tanto e non solo al chiuso delle mostre". Di fatto, la città non ha prodotto una pubblica elaborazione estetica. L’architettura, l’arte dello spazio condiviso, conta davvero pochissimi esempi in un’uniforme e indistinto panorama di edilizia residenziale di scarso pregio. Gli interventi artistici pubblici sono stati scadenti e non all’altezza di un orizzonte culturale condiviso da una metropoli, quale Messina si fregia di essere. Tuttavia, alcune private iniziate, come quelle di Linda Schipani, hanno messo l’accento su alcune temi, quelli del riciclo e del riutilizzo, pratiche cui Amos si è cimentato anche nello spazio Ecolab, che sono determinanti per la costruzione di una nuova identità culturale sganciata dalla pesante eredità novecentesca. Eredità che Amos percepisce come troppo legata a orizzonti di produzione e fruizione categorizzati e bloccati, senza contatto con il pubblico. Ecco che queste pellicole diventano quindi un richiamo alla creatività e alla libera, quotidiana, inventiva del singolo. Inventiva che per l’artista corrisponde a un gioco, a una libertà del fare, del godere delle forme e delle suggestioni della materia modellata dal fuoco e dal colore che appare come carne ferita tra le rughe e gli squarci della plastica. “Ogni materiale ha il suo linguaggio, è un linguaggio […] L’opera d’arte è tanto più accattivante quanto più è stata un’avventura, quanto più ne porta il segno, quanto meglio vi si leggono tutte le battaglie combattute dall’artista contro le resistenze dei materiali impiegati. E quanto meno l’artista sapeva dove tutto ciò l’avrebbe portato”[2].
[1] "Questa è una cosa che mi affascina moltissimo. Le persone ormai buttano via di tutto, ci hanno inculcato l’idea dell’ “usa e getta”, tutto diventa vecchio ed inutile subito. Prendere l’anta di una finestra dal ciglio di una strada di periferia e trasformarlo in un quadro, farla “rivivere”, è una cosa che mi gratifica e che, al tempo stesso, mi diverte". http://www.infooggi.it/articolo/intevista-a-maurizio-sorce-inarte-amos/4...
[2] Jean Debuffet cit. in Silvia Bordini, Arte contemporanea e tecniche, Carocci, Roma, 2007, p.90.