Oggetto di una vasta e stratificata attenzione critica, Il sorriso dell’ignoto marinaio è il romanzo dell’universo consoliano più noto al grande pubblico. L’autore si cimenta con il passaggio dai Borboni ai Savoia in Sicilia, descrivendo, attraverso la rivolta dei contadini di Alcara Li Fusi, il dramma sociale e storico degli ultimi, i vinti di verghiana memoria. Protagonista della narrazione è il barone di Mandralisca, l’erudito Enrico Pirajno, ma alla vicenda principale si intreccia quella di un misterioso quadro, un ritratto d’ignoto attribuito ad Antonello da Messina.
Oggetto di una vasta e stratificata attenzione critica, Il sorriso dell’ignoto marinaio è il romanzo dell’universo consoliano più noto al grande pubblico. Erigendo una complessa architettura di personaggi e luoghi, l’autore si cimenta in esso con uno dei temi decisivi nella storia della letteratura siciliana, ovvero la ferita del Risorgimento “tradito” che, nel passaggio dai Borboni ai Savoia, travolge gli ultimi, i diseredati, i vinti di verghiana memoria. Protagonista della narrazione è il barone Mandralisca di Cefalù, l’erudito Enrico Pirajno, ma alla vicenda principale si intreccia quella di un misterioso quadro, un ritratto d’ignoto attribuito ad Antonello da Messina. In rapporto dialettico con questa figura, c’è un altro personaggio centrale nello sviluppo del romanzo, il pubblico ministero della Gran Corte Civile di Messina, l'avvocato rivoluzionario Giovanni Interdonato, che rientra in Sicilia per organizzare l’opposizione ai Borboni. Nelle sue fattezze, il barone crede di riconoscere il sorriso beffardo dipinto nel quadro che ha acquistato a Lipari, durante il viaggio per mare di ritorno dall’isola, episodio da cui prende avvio il romanzo. Tra riferimenti figurativi, documenti cronachistici alterati dalla finzione romanzesca, inserti eruditi e tracce di memoria orale e dialettale, il filo narrativo segue molteplici strategie linguistiche e inaugura una vera e propria inchiesta, quella sulla storia e i suoi effetti. L’esito finale è il referto preciso di un dramma storico e sociale, messo in scena nell’episodio cruciale della rivolta dei contadini di Alcara Li Fusi, che, testimoniata dal Mandralisca, riflette un mondo di speranze e illusioni destinate a rovesciarsi nella trama di inganni e soprusi di una eterna ingiustizia. A strutturare lo spazio del popolo tradito dalle sue strutture politiche è, infatti, la tremenda repressione di quella rivolta, nella quale culmina la visione utopica della narrazione come funzione etica, in quanto proiezione o strumento della verità.
Oggetto di una vasta e stratificata attenzione critica, Il sorriso dell’ignoto marinaio è il romanzo dell’universo consoliano più noto al grande pubblico. Erigendo una complessa architettura di personaggi e luoghi, l’autore si cimenta in esso con uno dei temi decisivi nella storia della letteratura siciliana, ovvero la ferita del Risorgimento “tradito” che, nel passaggio dai Borboni ai Savoia, travolge gli ultimi, i diseredati, i vinti di verghiana memoria. Protagonista della narrazione è il barone Mandralisca di Cefalù, l’erudito Enrico Pirajno, ma alla vicenda principale si intreccia quella di un misterioso quadro, un ritratto d’ignoto attribuito ad Antonello da Messina. In rapporto dialettico con questa figura, c’è un altro personaggio centrale nello sviluppo del romanzo, il pubblico ministero della Gran Corte Civile di Messina, l’avvocato rivoluzionario Giovanni Interdonato, che rientra in Sicilia per organizzare l’opposizione ai Borboni. Nelle sue fattezze, il barone crede di riconoscere il sorriso beffardo dipinto nel quadro che ha acquistato a Lipari, durante il viaggio per mare di ritorno dall’isola, episodio da cui prende avvio il romanzo. Tra riferimenti figurativi, documenti cronachistici alterati dalla finzione romanzesca, inserti eruditi e tracce di memoria orale e dialettale, il filo narrativo segue molteplici strategie linguistiche ed espressive, inaugurando una vera e propria inchiesta sulla storia e i suoi effetti. Una patina di ricercata e sofisticata letterarietà avvolge la scrittura, che, tra suggestioni barocche, in una caleidoscopica varietà di registri e accostamenti lessicali arditi – nella selva di parole straniere, gemme dialettali, tecnicismi, arcaismi –, celebra l’urgenza di ristabilire una giustizia contro l’oppressione. È questo il motivo che anima, celebrando la forte tensione civile da cui prende forma il romanzo, la presa di coscienza del protagonista, posto dinnanzi ad una pagina controversa della storia, i moti rivoluzionari del 1860. L’esito finale è il referto preciso di un dramma storico e sociale, messo in scena nell’episodio cruciale della rivolta dei contadini di Alcara Li Fusi, che, testimoniata dal Mandralisca, riflette un mondo di speranze e illusioni destinate a rovesciarsi nella trama di inganni e soprusi di una eterna ingiustizia. A strutturare lo spazio del popolo tradito dalle sue strutture politiche è, infatti, la tremenda repressione di quella rivolta, nella quale culmina la visione utopica della narrazione come funzione etica, in quanto proiezione o strumento della verità. Consolo, come prima di lui Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, rientra dunque nel novero degli scrittori che trasfigurano in chiave narrativa la memoria di quel momento storico, recuperato, nel romanzo, attraverso un articolato palinsesto. Sul rapporto privilegiato con la scrittura sciasciana, più volte indagato dagli studiosi, si è soffermato recentemente Salvatore Grassia:
Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo è un libro epocale. Pubblicato da Einaudi nel 1976, aveva alle spalle le rivolte studentesche del Sessantotto, i movimenti degli anni Settanta, e il ripensamento del Risorgimento attraverso i fatti di Bronte riportati all’attenzione da Leonardo Sciascia. L’interesse di Consolo per le scritte murarie associava, nel romanzo, due esperienze storiche e morali. Mentre, da una parte, riprendeva l’attenzione per i graffiti, tipica del periodo delle rivolte, dall’altra si faceva forte dello studio che Sciascia aveva avviato sui “palinsesti del carcere” scoperti da Giuseppe Pitrè nelle celle dello Steri di Palermo. La macchinazione narrativa del Sorriso nacque, peraltro, proprio da una costola del Consiglio d’Egitto. E tuttavia se l’Ulisse di Joyce – come diceva paradossalmente Borges – era la fonte dell’Odissea, […], allo stesso modo si potrebbe affermare che il romanzo di Consolo ha “barocchizzato” la lettura dell’apologo sciasciano sull’impostura. (Grassia 2011, p. 15)