La Cancellazione della Costituzione: Rappresentazione di un crimine è il titolo della mostra inaugurata alla galleria Boxart di Verona nel 2010. Una indivisibile minorata costituisce l’opera d’apertura della serie ed emblematicamente rappresenta, nel titolo, la tesi di fondo dell’operazione di Isgrò. Anticipando le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, l’ennesima cancellatura dell’artista siciliano sembra aver profetato le vicissitudini politiche che tra l’estate del 2011 e il novembre di quell’anno, portarono alla crisi del governo Berlusconi e alla discussa nomina di Mario Monti.
La Cancellazione della Costituzione: Rappresentazione di un crimine è il titolo della mostra inaugurata alla galleria Boxart di Verona nel 2010. Una indivisibile minorata costituisce l’opera d’apertura della serie ed emblematicamente rappresenta, nel titolo, la tesi di fondo dell’operazione di Isgrò. Anticipando le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, l’ennesima cancellatura dell’artista siciliano sembra aver profetato le vicissitudini politiche che tra l’estate del 2011 e il novembre di quell’anno, portarono alla crisi del governo Berlusconi e alla discussa nomina di Mario Monti. Il titolo dell’opera corrisponde alle parole non cancellate dal testo, che aperto sui primi otto articoli fondamentali della Carta, vede sulla pagina di sinistra l’inquietante presenza di un piccolo sciame di api. Tuttavia, questi insetti hanno un significato positivo, sono il simbolo dell’operosità, del lavoro ordinato ma anche delle antiche civiltà del Mediterraneo e dei loro miti. Nell’intervista[1] presente nel catalogo della mostra Isgrò riconosce alla Costituzione due cose: la lingua fluida e chiara del diritto, diversa da quella della burocrazia, e l’altezza dei principi cui s’ispirarono i padri costituenti. In un’ottica storica critica, quindi, la cancellazione della Costituzione rappresenta non tanto una provocatoria distruzione, ma quanto la sua ultima riaffermazione. Le parole risparmiate dal tratto cancellatore suonano come un richiamo ironico e disincantato alla necessità di un’unificazione morale che, di fatto, ancora oggi sembra ancora da compiersi. Nel 1964 Isgrò affermò la morte delle parole. La sua era un’operazione provocatoria e all’avanguardia per l’Italia intellettuale dell’epoca, tuttavia, avvertiva, anche quella volta, della rivoluzione che con la società dei consumi avrebbe mutato geneticamente il carattere della cultura italiana. La cancellazione, infatti, è l’ultimo e l'estremo espediente della poesia visiva, laddove è il tratto di penna, il fatto visivo, che sopravanza la parola.
[1] Beatrice Benedetta: L’idioma Isgrò. Dialogo con un artista rrresponsabile, in La cancellazione della costituzione. Rappresentazione di un crimine, catalogo della mostra a cura di Marco Bazzani, SHIN production, Verona, 2010, p. 35.
La Cancellazione della Costituzione: Rappresentazione di un crimine è il titolo della mostra inaugurata alla galleria Boxart di Verona nel 2010. Una indivisibile minorata costituisce l’opera d’apertura della serie ed emblematicamente rappresenta, nel titolo, la tesi di fondo dell’operazione di Isgrò. Anticipando le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, l’ennesima cancellatura dell’artista siciliano sembra aver profetato le vicissitudini politiche che tra l’estate del 2011 e il novembre di quell’anno, portarono alla crisi del governo Berlusconi e alla discussa nomina di Mario Monti. Il titolo dell’opera corrisponde alle parole non cancellate dal testo, che aperto sui primi otto articoli fondamentali della Carta, vede sulla pagina di sinistra l’inquietante presenza di un piccolo sciame di api. Tuttavia, questi insetti hanno un significato positivo, sono il simbolo dell’operosità, del lavoro ordinato ma anche delle antiche civiltà del Mediterraneo e dei loro miti. Nell’intervista[1] presente nel catalogo della mostra Isgrò riconosce alla Costituzione due cose: la lingua fluida e chiara del diritto, diversa da quella della burocrazia, e l’altezza dei principi cui s’ispirarono i padri costituenti. In un’ottica storica critica, quindi, la cancellazione della Costituzione rappresenta non tanto una provocatoria distruzione, ma quanto la sua ultima riaffermazione. Le parole risparmiate dal tratto cancellatore suonano come un richiamo ironico e disincantato alla necessità di un’unificazione morale che, di fatto, ancora oggi sembra ancora da compiersi. Nel 1964 Isgrò affermò la morte delle parole. La sua era un’operazione provocatoria e all’avanguardia per l’Italia intellettuale dell’epoca, tuttavia, avvertiva, anche quella volta, della rivoluzione che con la società dei consumi avrebbe mutato geneticamente il carattere della cultura italiana. La cancellazione, infatti, è l’ultimo e l'estremo espediente della poesia visiva, laddove è il tratto di penna, il fatto visivo, che sopravanza la parola. La parola non è più l’elemento costitutivo del ragionamento, del pensiero. Nella società massmediale, è l’immagine, la sinestesia di suoni e di immagini a fornire, come già dati ed elaborati, gli strumenti del pensiero. Tuttavia, le cancellature, come gesto “verboclasta”, facendo largo tra le parole, caricano di maggiori e più pregnanti significati le parole sopravvissute. Vale a dire che Isgrò facendo il funerale al testo, ne appronta l’ultima resistenza, non come provocazione ma come fondamento della vita umana e delle sue attività. Lontano da uno spirito meramente provocatore, questa cancellatura è, invece, la rappresentazione di un processo storico in atto. La Costituzione è forse un testo troppo alto, di menti troppi fini, per essere rispettata fin in fondo, inoltre, ha il grave difetto di considerare ancora l’uomo come soggetto del diritto e non come oggetto del mercato. “Rispetto alla tradizione culturale dell’Occidente e al suo stile di pensiero, percorso da una concezione organicistica e finalistica della storia secondo la quale l’individuo concreto è parte vivente dell’organismo sociale, e la soggettività è il paradigma normativo della razionalità e dei valori, la tecnica chiede alla politica di costituirsi sul piano dell’astrazione analitica dell’oggettività avalutativa, e quindi di congedarsi da tutti gli ordinamenti normativi di ispirazione etica e umanistica all’interno dei quali la politica aveva finora pensato a se stessa. […] Ne consegue che le concezioni politiche elaborate non solo dal mondo antico, medievale e moderno, ma anche dell’illuminismo, dall’idealismo, dal materialismo, dallo storicismo, dal weberismo, per quel tanto che ritengono attori e protagonisti politici gli uomini e i loro valori e i loro bisogni, si rivelano, per questo loro tratto umanistico, inadeguate nell’età della tecnica, che è in grado di ospitare solo quella politica capace di orientarsi tra ruoli, funzioni correnti di aspettative, ambienti, sistemi, dove gli individui entrano ed escono come elementi interscambiabili e perfettamente fungibili.”[2]. In questo scenario terrificante, Isgrò indica nell’arte una via per la salvezza, di cui la parola cancellata rappresenta l’ironico e tagliente vangelo: “Ci vuole una crescita generale e l'arte può rappresentare la punta di diamante, può aiutare a risvegliare energie sopite: se abbiamo una cattiva politica sopravviviamo, se abbiamo una cattiva arte siamo destinati a sparire”[3].
[1] Beatrice Benedetta: L’idioma Isgrò. Dialogo con un artista rrresponsabile, in La cancellazione della costituzione. Rappresentazione di un crimine, catalogo della mostra a cura di Marco Bazzani, SHIN production, Verona, 2010, p. 35.
[2] Umberto Galimberti: Psiche e Techne, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 455.
[3] Citato in Emilio Isgrò: Maledetti toscani, benedetti italiani, GiornaleSentire.it, 18 maggio 2014.