L’opera composta di 143 pannelli assemblati da Guttuso direttamente nel suo studio, fu commissionata dall’allora consulente del teatro Giacchino Lanza Tomasi. Con una superficie di 130 metri quadri, è la più grande realizzata dal maestro di Bagheria, e una delle sue ultime opere. Installata sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele, suggella la discussa e lunghissima ricostruzione del massimo teatro cittadino.
L’opera composta di 143 pannelli assemblati comodamente da Guttuso nel suo studio, fu commissionata dall’allora consulente del teatro Giacchino Lanza Tomasi. Con una superficie di 130 metri quadri, è la più grande realizzata dal maestro di Bagheria, e una delle sue ultime opere. Installata sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele, suggella la discussa e lunghissima ricostruzione del massimo teatro cittadino. Un giovane Colapesce s’immerge nel mare dello Stretto tra due gruppi sirene. Un’atmosfera di festa, tripudiante di delfini, pesci spada e gabbiani accoglie il tuffo di Cola. L’unico presentimento della sua tragica fine forse traspare nel volto della prima sirena in alto a destra, ma per tutto il resto, il quadrone è una celebrazione del mito e dello scenario naturale. E’ una visione allegorica e celebrativa dell’elemento acquatico, e quindi delle radici geografico culturali della città di Messina che, tuttavia, proprio nel secolo della sua ricostruzione sperimenterà la lenta e inesorabile cesura del suo millenario rapporto con il mare. Di fatto, la città non c’è, Cola s’immerge nel mare che è più di Omero che di Federico II. Una delle varianti della leggenda, infatti, vuole che proprio l’imperatore svevo avesse sfidato Cola lanciando in mare dei monili che l’uomo pesce avrebbe recuperato fino all’ultima fatale immersione. In un’altra versione, Cola trovò negli abissi tre colonne che sostenevano la Sicilia. Tra queste una era consumata dal fuoco dell’Etna, così Cola decise di restare in fondo al mare per sorreggere la colonna e con questa tutta l’isola. Della fiaba esistono moltissime varianti, e ancora oggi il mito è vivissimo nelle interpretazioni teatrali e musicali più eterogenee. Colapesce appartiene indubbiamente a quel patrimonio di cultura immateriale che fa della Sicilia uno dei luoghi più ricchi e culturalmente stratificati dell’intero continente europeo.
L’opera composta di 143 pannelli assemblati comodamente da Guttuso nel suo studio, fu commissionata dall’allora consulente del teatro Giacchino Lanza Tomasi. Con una superficie di 130 metri quadri, è la più grande realizzata dal maestro di Bagheria, e una delle sue ultime opere. Installata sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele, suggella la discussa e lunghissima ricostruzione del massimo teatro cittadino. Un giovane Colapesce s’immerge nel mare dello Stretto tra due gruppi sirene. Un’atmosfera di festa, tripudiante di delfini, pesci spada e gabbiani accoglie il tuffo di Cola. L’unico presentimento della sua tragica fine forse traspare nel volto della prima sirena in alto a destra, ma per tutto il resto, il quadrone è una celebrazione del mito e dello scenario naturale. E’ una visione allegorica e celebrativa dell’elemento acquatico, e quindi delle radici geografico culturali della città di Messina che, tuttavia, proprio nel secolo della sua ricostruzione sperimenterà la lenta e inesorabile cesura del suo millenario rapporto con il mare. Di fatto, la città non c’è, Cola s’immerge nel mare che è più di Omero che di Federico II. Una delle varianti della leggenda, infatti, vuole che proprio l’imperatore svevo avesse sfidato Cola lanciando in mare dei monili che l’uomo pesce avrebbe recuperato fino all’ultima fatale immersione. In un’altra versione, Cola trovò negli abissi tre colonne che sostenevano la Sicilia. Tra queste una era consumata dal fuoco dell’Etna, così Cola decise di restare in fondo al mare per sorreggere la colonna e con questa tutta l’isola. Della fiaba esistono moltissime varianti, e ancora oggi il mito è vivissimo nelle interpretazioni teatrali e musicali più eterogenee. Colapesce appartiene indubbiamente a quel patrimonio di cultura immateriale che fa della Sicilia uno dei luoghi più ricchi e culturalmente stratificati dell’intero continente europeo.Vita e morte sono i temi centrali di questa leggenda, in cui non mancano spesso gli accenni a una crudeltà del potere nei confronti del povero Cola, o il disagio della sua scelta radicale di vivere la sua vita in acqua. Guttuso sceglie invece di raccontare enfaticamente la bellezza e la potenza del mito, senza tralasciare il fascino conturbante delle sue sirene, procaci e un po’ annoiate bagnanti che si sollazzano sugli scogli. L’artista è ormai giunto alla fine della sua lunga e prestigiosa carriera. Indagatore precoce delle tendenze e degli stili dell’arte contemporanea, teorico, politico, scrittore, è stato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento. Famoso e acclamato in vita, è stato il modello dell’artista impegnato di successo. Il suo ultimo periodo testimonia il grande livello di libertà stilistica, compositiva ed esecutiva con cui affronta qualsiasi tema. “La sua importanza esemplare, nel panorama complessivo della pittura contemporanea, consiste nella fermezza con cui guardò alla polarità del reale per trascenderla nell’esplorazione della metafora e dell’allegoria. Questo è il senso della sua opera, che, mirando a un’idea più elevata, si assunse anche il rischio di un fallimento. Pensando a Guttuso, non ho mai potuto vedere un uomo come lui, dall’indole fortemente improntata alla libertà, all’amicizia e all’amore fraterno, perfettamente inserito nel quadro di un sistema totalitario. Se rifletto su di lui come persona, mi viene in mente un detto del poeta turco Nazim Hikmet, che recita: <<Vivere, soli e liberi come un albero / e fraternamente come una foresta / è il nostro desiderio. >>[1]