Ritratto di spalle, messo in scena per la prima volta nel 1974, è stato rappresentato nel 2010 alla Sala Laudamo di Messina con la regia e l’interpretazione di Viviana Piccolo. L’opera, definita “monodramma” dall’autore Rocco Familiari, scandaglia i segreti più intimi dell’universo femminile, che la protagonista confida al pubblico come fosse nel salotto di casa, o a se stessa davanti a uno specchio, nel quale osserva la propria immagine moltiplicata e frantumata nei ricordi e nei labirinti del pensiero.
Ritratto di spalle, messo in scena per la prima volta nel 1974, è stato rappresentato nel 2010 alla Sala Laudamo di Messina con la regia e l’interpretazione di Viviana Piccolo. Il testo è stato scritto da Rocco Familiari nel 1973, lo stesso anno in cui l’autore esordisce come regista con I tessitori di Hauptmann, sempre alla Sala Laudamo di Messina, con Walter Manfrè nei panni del protagonista e un giovanissimo Nino Frassica; viene pubblicato nel 1977, l’anno successivo alla fondazione del Festival Internazionale del Teatro di Taormina da parte di Familiari, nella prestigiosa collana "All’insegna del pesce d’oro" delle edizioni milanesi Scheiwiller. Ritratto di spalle, permeato da un raffinato senso erotico, sorprendentemente non-maschile, scandaglia i segreti più intimi dell’universo femminile, attraverso la figura di una donna che mette a nudo la propria storia, i desideri più nascosti, le paure, le indecisioni, confidandosi al pubblico come fosse nel salotto di casa, o a se stessa davanti a uno specchio, nel quale osserva la propria immagine moltiplicata e frantumata nei ricordi e nei labirinti del pensiero. Dell’opera, definita “monodramma” dal suo autore, esiste anche una versione radiofonica, trasmessa sempre nel 1974; successivamente Familiari ha curato la regia televisiva del testo per l’emittente messinese Telespazio. Ritratto di spalle è stato ripreso poi dal regista Aldo Trionfo, che nel 1982 aveva diretto un altro lavoro di Familiari, Don Giovanni e il suo servo (con Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti) e rappresentato, insieme al monodramma La caduta, al Teatro dell’Orologio di Roma, nella stagione 1984/1985, con l’interpretazione di Laura Cardile, scene di Giorgio Panni, musiche di Paolo Terni. Nella versione messinese del 2010, il progetto luci è di Tiziano Ruggia, le scene di Alessandro Martinelli, le musiche di Carlo Cenin.
È, se si vuole, un gioco a più fasi, che si compie in un castello dalle infinite stanze, una serie incessante di “dissolvenze incrociate” fra trasparenze acquerellate che fanno intravedere i suoi innumerevoli volti, e “cortine di nebbie giallastre”, che li nascondono, un sovrapporsi continuo di “cristalli dorati, riccioli, belletti, nei”, commentato dal suono di acque purificatrici. Perché in qualche punto di questo minuscolo, ma intenso dramma, ho ritrovato un’ Ofelia contemporanea, delicata e selvatica, a piedi nudi, sporta sulla riva del fiume, mentre sta decidendo se lasciarsi andare, liberando il suo corpo alle acque, o addormentarsi di nuovo. Omaggio all’autore, infine, che fra le sue passioni coltiva la pittura espressionista tedesca, la scena si frantuma fra luci soffuse e ombre, fra proiezioni dislocate su una scenografia semitrasparente, dalle forme mai fisse, ma in perenne movimento.