La vita di provincia, con i suoi stigmi e i suoi impliciti divieti, è il motivo che ispira Biografia della peste, seconda produzione della compagnia di autori-attori formata da Luciana Maniaci e Francesco D’Amore. Apologo sulla vita e sulla morte, o esplicitazione di una scioccante e radicale pulsione di fuga, lo spettacolo ha vinto nel 2011 il Premio Nazionale di Drammaturgia "Il Centro del Discorso" e, nel 2013, è diventato un film, diretto da Andrea Tomaselli e prodotto dalla Indyca Film.
La vita di provincia, con i suoi stigmi e i suoi impliciti divieti, è il motivo che ispira Biografia della peste, seconda produzione della compagnia di autori-attori formata da Luciana Maniaci e Francesco D’Amore. Proprio perché l’intuizione dello spettacolo nasce dalla consapevolezza dei luoghi d’origine dei due drammaturghi, è il testo cui entrambi dichiarano di essere più affezionati: «Attraverso questa favola psicotica e magica parliamo della nostra adolescenza. Parliamo della tabaccaia e del panettiere, della maestra e del parroco, delle mamme despoti e dei padri intermittenti, dei mille occhi che ti scrutano e del lamento come tappeto sonoro della vita. E poi di quell’angusta strada comunale illuminata da neon a basso costo, glaciali… Veniamo da due posti diversi ma la strada è la stessa». Apologo sulla vita e sulla morte, o esplicitazione di una scioccante e radicale pulsione di fuga, Biografia della peste è una riflessione sull'individuo e sulla comunità, sulla parzialità dell'esistenza, sulla necessità di chiamare ogni cosa col proprio nome, sul coraggio e la follia. Vincitore nel 2011 del Premio Nazionale di Drammaturgia Il Centro del Discorso, lo spettacolo è diventato nel 2013 un film, diretto da Andrea Tomaselli e prodotto dalla Indyca Film.
In questo paese morire non è carino, non si fa. Potrebbe essere questa la frase che meglio racchiude il senso di Biografia della peste, ambientato nello spettrale Duecampane, dove persino perdere la vita in un incidente stradale può essere bollato come atto vergognoso: chi si macchia di uno scandalo del genere, preferisce far finta di niente, restare al suo posto, nella comunità di morti che piano piano ha finito per popolare il paese; a meno che un ragazzo appena defunto, un giorno, non si ribelli e inizi a sognare di andare via. Prende forma da qui, tra surrealismo e graffiante ironia, spunti di amara riflessione e una comicità spiazzante, scandita dal ritmo della perfetta sintonia scenica dei due interpreti, la trama di Biografia della Peste, seconda produzione della compagnia di autori-attori formata da Luciana Maniaci e Francesco D’Amore. Proprio perché l’intuizione dello spettacolo nasce dalla consapevolezza dei luoghi d’origine dei due drammaturghi, dalla dimensione di una vita di provincia fondata su stigmi e impliciti divieti, Biografia della peste è il testo cui entrambi dichiarano di essere più affezionati: «Attraverso questa favola psicotica e magica parliamo della nostra adolescenza. Parliamo della tabaccaia e del panettiere, della maestra e del parroco, delle mamme despoti e dei padri intermittenti, dei mille occhi che ti scrutano e del lamento come tappeto sonoro della vita. E poi di quell’angusta strada comunale illuminata da neon a basso costo, glaciali… Veniamo da due posti diversi ma la strada è la stessa». Apologo sulla vita e sulla morte, o esplicitazione di una scioccante e radicale pulsione di fuga, Biografia della Peste è una riflessione sull'individuo e sulla comunità, sulla parzialità dell'esistenza, sulla necessità di chiamare ogni cosa col proprio nome, sul coraggio e la follia. Vincitore nel 2011 del Premio Nazionale di Drammaturgia "Il Centro del Discorso", “per l'intuizione allegorica di fondo e le soluzioni linguistiche fresche e scanzonate, capaci di restituire un'amarezza imprecisata ma incisiva”, come si legge nelle motivazioni della giuria, il testo, “partendo da una intuizione di grande potenzialità offre belle invenzioni e molti spunti divertenti in equilibrio sul difficile confine, poco frequente in genere nella drammaturgia italiana, tra comicità, ironia drammatica e surrealismo”. Tutti questi elementi sono stati, a più riprese, segnalati dalla critica, che ha accolto con grande entusiasmo lo spettacolo, evidenziandone, come scrive Dario Tomasello su Ateatro.it, il «dettato aggressivo, cattivo e anticonformista a cui non solo la scena teatrale italiana più recente, ma si sarebbe tentati di dire (se non si temesse di esagerare) l’intera scena culturale italiana più recente ci ha ormai disabituato». I primi lavori della compagnia sono Serenasi, un piccolo esperimento di teatro di narrazione che racconta uno ‘stupro d’amore’ tra due freaks del sud; Pillole, una pièce a quadri sulla disperata ricerca di placebo da parte dei giovani della loro generazione, e Le Cose, inquietante storia di una casa che prende il comando della vita dei suoi due inquilini (a quest’ultima opera è legato il progetto di teatro in casa Gas Mostarda). L’attenzione del grande pubblico arriva con Il Nostro Amore Schifo (2011), co-prodotto da Teatro Regionale Alessandrino, Nidodiragno, Circolo dei Lettori e Teatro della Caduta di Torino, con la regia di Roberto Tarasco, divenuto ormai un piccolo cult, mentre il 2014 è l’anno di Morsi a vuoto, che conquista il Premio Scenari Pagani, ed è una produzione Maniaci d'Amore, Festival delle Colline Torinesi, Festival Castel dei Mondi di Andria, con la regia di Filippo Renda. Biografia della peste, inoltre, nel 2013 è diventato un film, diretto da Andrea Tomaselli e prodotto dalla Indyca Film. Lo spettacolo è una produzione Nidodiragno, realizzata con la regia Roberto Tarasco (nuovo allestimento registico Giuseppe Bisceglia); musiche originali di Airam, training attoriale Andrea Tomaselli, costumi Alessandra Berardi, assistente scenografa Marzia Cicala, assistenza tecnica Fabio Bonfanti e Alberto Comino.